domenica 27 gennaio 2008

La colite ulcerosa

Definizione

La colite ulcerosa (CU) insieme al morbo di Crohn appartiene al gruppo delle malattie infiammatorie croniche intestinali (MICI), patologie ad eziologia sconosciuta. La colite ulcerosa interessa la sola mucosa dell’intestino crasso, coinvolge costantemente il tratto retto - sigma e può interessare anche l’intero colon.

Dalla diversa localizzazione della malattia è possibile identificare varianti diverse:

- proctosigmoidite, malattia con interessamento del retto-sigma, la forma più frequente (45% dei casi);

- proctite, è colpito solo il sigma;

- colite totale;

- colite sinistra.

Attualmente l’incidenza si attesta attorno a 9/100000, mentre la prevalenza aggiunge un valore pari a 120/100000 (1).

La distribuzione geografica in Europa evidenzia la presenza di un gradiente Sud - Nord che negli ultimi 20 anni è andato progressivamente riducendosi, per effetto di un aumento dell’incidenza di CU nei paesi del Bacino del Mediterraneo (2).

Nella maggiore parte delle casistiche l’incidenza della CU è maggiore negli uomini, forse per effetto di una diversa esposizione ad alcuni fattori di rischio come la sospensione dal fumo (3).

La malattia può comparire a qualsiasi età, è possibile anche un esordio in età pediatrica sebbene il picco di maggiore incidenza s’identifichi tra la seconda e la terza decade di vita.

Aspetti eziopatogenetici

Sebbene la CU sia malattia nota da almeno un secolo, ancora non si conoscono le cause che portano alla progressiva distruzione dell’intestino nelle MICI.

Si tratta probabilmente di malattie a patogenesi multifattoriale in cui, in individui geneticamente predisposti, si sviluppa un’alterata risposta immunitaria ad antigeni presenti all’interno della flora batterica intestinale.

La malattia in fase d’attività presenta come manifestazione cardine diarrea e sanguinamento rettale. Nella proctite può esservi stipsi, al contrario di quanto si verifica nelle altre localizzazioni di malattia. Altri sintomi e segni comprendono: dolore addominale, calo ponderale, anemizzazione, febbre, specialmente per malattie estese. Possono comparire manifestazioni extraintestinali di malattia come il coinvolgimento articolare aspecifico di natura flogistica, le lesioni oculari (scleriti, uveiti), la spondilite anchilosante HLA B27 correlata, l’eritema nodoso e il pioderma gangrenoso.

Elemento essenziale per la diagnosi di CU è la clinica, Truelove e Witts nel 1955 hanno stabilito tre diversi livelli di gravità della malattia in funzione dei sintomi e dei segni.

L’attività della malattia è generalmente graduata secondo gli indici di seguito riportati:

Forma severa

Frequenti scariche muco – ematiche (>6/die)

Febbre (>37,5°C)

Tachicardia (F.C.>90 b/min)

Anemia (riduzione Hb > 25%)

VES>30mm/h

Forma intermedia

Manifestazioni intermedie tra le forme lieve e severa

Forma lieve

Poche scariche muco - ematiche (<4/die)

Non febbre

Non tachicardia

Anemia modesta

VES<30>

Emorragia massiva, perforazione intestinale e megacolon tossico sono le principali complicanze della CU. La perdita della capacità contrattile di un tratto di muscolare per estensione del processo infiammatorio causa progressiva dilatazione del viscere con rischio conseguente di perforazione e richiede un approccio d’urgenza.

Iter diagnostico

L’elemento diagnostico più significativo è rappresentato dalla clinica, altre indagini possono però essere utilizzate a conferma o nell’intento di meglio definire l’estensione della malattia.

Aspetti radiologici

Rx addome a vuoto: consente d’escludere le complicanze che richiedono la chirurgia d’urgenza.

Ecografia addominale: nella fase acuta della malattia è utile per valutare l’estensione e il grado di attività della malattia, specie in pazienti in condizioni critiche che potrebbero peggiorare con indagini contrastografiche o endoscopiche. Controlli ripetuti consentono una valutazione della risposta alla terapia.

Clisma opaco a doppio contrasto: di minore utilità rispetto all’endoscopia nella definizione della natura del processo infiammatorio, controindicato in caso di malattia ad attività severa.

Scintigrafia con leucociti marcati: serve ad identificare, specie nei pazienti con colite severa all’esordio o poco collaboranti, i tratti interessati dal processo flogistico. Inoltre rende possibile distinguere tratti con flogosi acuta da stadi di cronicizzazione o fibrosi scintigraficamente muti.

Aspetti endoscopici

L’indagine endoscopica può essere eseguita con strumento rigido o flessibile. Gli aspetti endoscopici della CU sono ormai bene codificati anche se in fase acuta può riuscire difficile la diagnosi differenziale tra MICI.

Sono caratteristiche della CU: l’iperemia, l’edema e la granulosità diffusa della mucosa con scomparsa del disegno vascolare, il sanguinamento spontaneo o al contatto, le ulcere, in genere superficiali ed attorniate sempre da mucosa infiammata; l’essudato fibrinoso o mucopurulento, il coinvolgimento della mucosa rettale.

Nella fase iniziale si osserva la scomparsa della rete vascolare sottomucosa ed un eritema diffuso con edema della mucosa. L’infiammazione cronica può esitare in una diffusa atrofia della mucosa ed in formazione di isole ipertrofiche di tessuto di granulazione (pseudopolipi). In malattie di lunga durata si perdono elasticità di parete ed austrature, ed il colon appare rigido, uniformemente ristretto, “tubulizzato”. La presenza di aree di stenosi o substenosi deve porre il sospetto di una degenerazione neoplastica e quindi richiede un accurato follow-up. Questi aspetti si osservano a livello della mucosa del retto e il processo si realizza come retrodiffusione.

Fondamentale nella diagnosi differenziale con malattia di Crohn, l’endoscopia consente di visualizzare direttamente la mucosa e di eseguire prelievi bioptici in sedi multiple, il retto è per definizione interessato nella CU, tuttavia bisogna ricordare che l’uso di terapia topica specifica può trarre in inganno, migliorando lo stato della mucosa fino a simularne l’integrità. L’accuratezza diagnostica dell’endoscopia nella CU è del 90%, con una percentuale d’errore del 5%, nel restante 5% la diagnosi rimane indeterminata.

Utile anche nel follow-up della malattia, in caso di colectomia subtotale consente il monitoraggio della mucosa rettale residua che mantiene capacità degenerative; in caso di colectomia totale invece si studia il reservoir ileale per identificare eventuali segni d’infiammazione. I soggetti con CU hanno rischio maggiorato di sviluppare cancro per questo nelle malattie di lunga durata i pazienti debbono essere sottoposti a controlli successivi per identificare precocemente alterazioni che possano predisporre all’alterazione neoplastica (displasia di vario grado).

Aspetti anatomo – patologici

Malattia limitata al grosso intestino, nelle forme estese all’intero colon è possibile il coinvolgimento occasionale dell’ultima ansa ileale (back-wash ileitis); anche l’appendice può risultare interessata dal processo. Nel 25%-50% dei casi si tratta di proctite o proctosigmidite, che rimangono confinate nel 90% dei casi.

Fase di attività

Le cripte si presentano allungate e le cellule caliciformi mostrano una ridotta attività mucipara. Nella lamina propria si osserva un diffuso infiltrato flogistico cronico tipo linfocitoplasmacellulare con ricca componente granulocitaria, anche eosinofila, con edema e congestione capillare ed aumento dello spessore della mucosa; nella mucosa rettale i follicoli normalmente presenti possono aumentare fino a configurare l’aspetto di proctite follicolare. I neutrofili compenetrano l’epitelio dando luogo ad ascessi criptici, per raccolta di essudato nel lume ghiandolare. Raramente l’infiltrato si estende sino alla mucolaris mucosae e le ulcerazioni si approfondano a tutto spessore (a differenza di quanto accade nella malattia di Crohn). Aumenta il turnover epiteliale per effetto di fenomeni regressivi e rigenerativi.

Fase di risoluzione

La riduzione dell’attività infiammatoria consente all’epitelio di riprendere il suo aspetto normale. L’infiltrato si riduce progressivamente lasciando occasionali criptiti ed ascessi criptici, in rapporto all’entità ed al numero di episodi di attività le cripte si diradano, accorciano e ramificano; la quota linfocitaria e quella plasmacellulare si dirada di poco e mantiene in genere distribuzione diffusa.

Fase di remissione

La mucosa si presenta assottigliata, le cripte distorte e diradate per effettiva riduzione di numero. L’atrofia delle cripte comporta distanziamento dalla muscolaris mucosae, talvolta ispessita o con occasionali slaminamenti in corrispondenza di precedenti ulcerazioni. A livello delle cripte è abbastanza frequente la metaplasia a cellule di Paneth, espressione di danno cronico, ed aumento delle cellule argirofile. Nella lamina propria si riduce notevolmente l’infiltrato; non si osserva fibrosi. Nelle coliti di lunga durata e trattate è possibile il riscontro istopatologico di distribuzione non diffusa e discontinua dell’attività infiammatoria con aree relativamente normali e mancato interessamento del retto che tuttavia non comportano la modifica di una pregressa diagnosi di CU in malattia di Crohn.

Aspetti laboratoristici

L’osservazione degli indici aspecifici d’infiammazione (VES, PCR, mucoproteine, alfa-2-globuline) consente di monitorare il decorso della malattia e di riconoscerne le fasi d’attività.

Segni e sintomi di tossicosi quali leucocitosi, disidratazione, disturbi della coscienza, squilibri idroelettrolitici, ipotensione, dolore addominale o irritazione peritoneale possono definire pazienti ad alto rischio che potrebbero anche sfuggire ad una rigida valutazione applicando i criteri di Truelove.

Decorso

La RCU è caratterizzata da un decorso imprevedibile con fasi di remissione clinica prolungate intercalate ad episodi di riacutizzazione, non riferibili ad alcun fattore noto.

La storia naturale della malattia prevede generalmente una progressiva riduzione col passare del tempo della frequenza e della severità degli attacchi. Lo stato di remissione è definito dall’assenza di sintomi clinici, dalla normalità dei dati di laboratorio e degli aspetti endoscopici, con ciò tuttavia non si esclude la presenza d’infiammazione microscopica con progressione del danno alla mucosa. Elementi istopatologici quali infiltrati granulocitari e ascessi criptici alla sospensione della terapia si associano ad alto rischio di recidive a breve.

La probabilità che la malattia divenga cronicamente attiva è fortunatamente bassa (<1%).

Terapia medica

Il controllo sintomi durante le fasi d’attività della malattia, la prevenzione delle ricadute durante le fasi di remissione sono gli obbiettivi del trattamento farmacologico.

Le riacutizzazioni severe richiedono il ricovero in ambiente protetto, dove può essere praticato un trattamento medico intensivo per 5-7 giorni. Secondo lo schema suggerito da Truelove:

1. Steroidi per via endovenosa ad alte dosi (0,7-1 mg/Kg/die di prednisolone);

2. Controllo d’eventuali squilibri idroelettrolitici e volemici (se gravemente anemici, i pazienti possono essere sottoposti a trasfusione).

L’alimentazione per via orale nei primi giorni dopo l’episodio acuto, non ne modifica l’esito, ma normalmente si evita o si sceglie una dieta leggera. La scelta della nutrizione parenterale totale è riservata a casi di grave malnutrizione.

Nel 60-70% dei casi questo trattamento è in grado di determinare un miglioramento sostanziale; il trattamento intensivo è oggi prolungato fino a 7-10 giorni sebbene manchi l’evidenza di migliori risultati in una percentuale maggiore di casi.

La terapia antibiotica, come dimostrano diversi trials, non risulta d’aiuto alla terapia steroidea. Eccezione è riservata all’impiego della rifaximina, antibiotico non assorbibile ad ampio spettro, che in uno studio controllato vs placebo s’è dimostrata efficace nel ridurre lo score endoscopico e nel controllo d’alcuni parametri clinici.

Nei pazienti con sintomatologia non completamente controllata dalla terapia medica tradizionale, può essere indicato il trattamento con Remicade (Infliximab, anticorpo monoclinale anti-TNF) o, in seconda istanza ciclosporina (CYA) somministrata in infusione endovenosa (2-5 mg/Kg/die).

Solo negli ultimi 10 anni sono state messe a punto preparazioni varie di acido 5-aminosalicilico (5-ASA), topiche (come supposte, clismi, foam, e gel) ed orali, capaci di rilasciare con meccanismi diversi (pH dipendente, pH/tempo dipendente) il principio attivo. La terapia topica è vantaggiosa sia per la diretta somministrazione del principio attivo, anche ad alte dosi, sulla mucosa sede di lesione, sia per la riduzione del rischio di tossicità sistemica per eccessivo assorbimento del farmaco. Le formulazioni rettali sono di primo impiego nelle forme ad attività lieve o moderata delle coliti distali, clismi, foam e gel sono in grado di retrodiffondere e sono impiegati anche nel trattamento delle forme più estese, mentre nella proctite attiva sono indicate le preparazioni in supposte

Esiste ormai l’evidenza dell’efficacia della terapia con 5-ASA dopo somministrazione orale con effetto dose - dipendente e minima dose efficace di 2 g/die (aumentabile fino a 3,6-4 g/die). La combinazione delle due preparazioni, orale e topica, nella pratica clinica consente una più rapida risoluzione dei sintomi.

I nuovi preparati steroidei ad azione topica (budesonide, beclometasone dipropionato) interferiscono meno con l’attività dell’asse ipofisi - surrene pur avendo efficacia sovrapponibile a quella degli steroidi tradizionali.

La corticodipendenza corrisponde alla capacità di ridurre sino a lieve l’attività della malattia cronicamente sintomatica solo mediante continua somministrazione di steroidi; essa può essere contrastata dall’utilizzo di farmaci immunosoppressori come azatioprina (AZA) e 6-mercaptopurina (6-MP). Il termine di colite distale refrattaria è riservato ad una malattia che non risponde a 6-8 settimane di terapia con 5-ASA in combinazione con steroidi.

La prevenzione delle riacutizzazione richiede terapia con 5-ASA per os se in forme estese, in clismi, foam o supposte, se in forme distali.

Terapia chirurgica

Circa 1/3 dei pazienti con CU richiedono la terapia chirurgica. La scelta chirurgica può essere dettata sia dalla comparsa di complicanze sia per mancanza di un adeguato controllo dei sintomi della malattia facendo uso della terapia medica. Esistono più opzioni chirurgiche sia per l’intervento eseguito in urgenza che per quello eseguito in elezione, queste si sono evolute significativamente nel secolo scorso, ciascun intervento presenta vantaggi e svantaggi.

L’approccio chirurgico d’urgenza è necessario qualora compaia la più temibile complicanza della CU: il megacolon tossico. Il paziente in stato di tossicosi si presenta con febbre, tachicardia, dolorabilità addominale, distensione, disidratazione, ipotensione, squilibri idroelettrolitici ed anemia. In condizioni d’urgenza l’intervento di scelta è oggi rappresentato dalla colectomia sub - totale, viene lasciato in sede un lungo moncone rettale (dal sigma distale), trattato topicamente con terapia medica in attesa di una ricostruzione definitiva. All’affondamento del moncone sotto al perineo si preferisce la colectomia con fistola mucosa sovrapubica, aperta o chiusa, abboccando il retto alla parete addominale. Questo consente di ridurre al minimo i fenomeni fibrotici a livello dello scavo pelvico, quindi anche il rischio di sanguinamento del tessuto cicatriziale negli interventi successivi.

In condizione d’elezione, la maggiore indicazione al trattamento chirurgico è rappresentato dall’intrattabilità dei sintomi o dalla comparsa d’importanti effetti collaterali dovuti alla terapia medica.

Nei pazienti con CU il rischio di cancro del colon - retto aumenta di circa lo 0,5% ogni anno dopo la prima decade di malattia. Anche l’estensione della malattia all’intero colon, la presenza di displasia e l’esordio durante l’infanzia o l’adolescenza contribuiscono ad aumentare tale rischio. Stabilire con chiarezza le indicazioni alla chirurgia, in funzione del rischio per il carcinoma del colon – retto è difficile, tutti i pazienti devono essere indirizzati alla chirurgia dopo una valutazione d’insieme delle manifestazioni, intestinali e no.

L’intervento di elezione è la proctocolectomia definitiva con ileo-ano anastomosi e reservoir (anastomosi tipo ileo – ano, IPAA).

Evita la stomia permanente, consente l’evacuazione tramite via naturale, eradica la malattia, elimina o riduce al minimo il rischio di cancerizzazione e la necessità di ricorrere alla terapia anti - infiammatoria. Quest’intervento è stato per la prima volta proposto da Parks nel 1978.

La procedura comprende proctocolectomia con mucosectomia in modo da eradicare completamente gli elementi potenzialmente aggredibili del processo infiammatorio ed eliminare il rischio di malignità. Il confezionamento di una pouch anastomizzata alla linea dentata consente il mantenimento di un’adeguata capacità di contenimento fecale, preserva la continenza e l’evacuazione volontaria, essendo l’anello sfinteriale intatto. Tra gli svantaggi: complessità dell’intervento, rischio di lesione del nervo pelvico, necessità d’interventi multipli, rischio di sequele settiche, pouchite, rischio d’evacuazioni frequenti, possibilità d’incontinenza, necessità di follow-up.

Quest’opzione chirurgica è indicata per:

* pazienti non responsivi alla terapia medica;

* pazienti colectomizzati d’urgenza per colite ulcerosa severa e complicata;

* displasia severa;

* tumori maligni che impediscono la terapia resettiva.

Controindicazioni alla proctocolectomia ricostruttiva: incontinenza del materiale fecale (lesioni degli sfinteri), carcinoma del retto distale che invade gli sfinteri anali o pazienti che hanno preferenza personale per una delle altre opzioni chirurgiche.

L’intervento d’anastomosi ileo- anale con reservoir (IPAA) consiste in un a procedura in due tempi, prima è eseguita la proctocolectomia totale con stomia di protezione, quindi in un secondo tempo è chiusa l’ileostomia e ripristinata la continuità intestinale, generalmente 8- 12 settimane dopo.

Utilizzando la parte terminale dell’intestino tenue è confezionata la pouch (o neo-retto o reservoir), allo scopo di creare un sito di contenimento fecale sufficiente a ridurre il numero d’evacuazioni giornaliere. La scelta su quale tipi di pouch confezionare è a discrezione del chirurgo visto che la funzionalità ad un anno dall’intervento è la stessa per i diversi tipi di pouch. La pouch a J è spesso preferita per la maggiore semplicità dell’intervento, perché più veloce da realizzare, adattabile bene alla concavità del sacro e in grado di accogliere fino a 400 ml e in grado di svuotarsi spontaneamente.

Il reservoir confezionato è poi anastomizzato al retto deprivato della mucosa mediante “stripping” eseguito dall’esterno della pelvi in modo tale da preservare l’integrità dei meccanismi neuromuscolari. L’introduzione delle suturatrici meccaniche ha consentito la realizzazione dell’anastomosi vicino all’ano, rendendo superflua la mucosectomia e riducendo il rischio di traumatismi a carico delle strutture sfinteriali. L’anastomosi meccanica è più alta e rimangono in sede 1-2 cm di mucosa rettale, con rischio di riaccensione della CU e di trasformazione maligna, l’anastomosi coinvolge la “zona anale di transizione” dove mucosa malpighiana e mucosa colica si embricano. Il gruppo della Mayo Clinic preferisce parlare di “ileal pouch distal rectum anastomosis”, evidenziando la non completa eradicazione della mucosa ammalata. La scelta della tecnica è determinata dalla presenza o dall’assenza di displasia sul colon asportato, nel caso di displasia multifocale è preferibile l’anastomosi manuale.

I pazienti hanno in media 4-5 evacuazioni/die, conservano la capacità di differire l’evacuazione a momenti opportuni, svolgono normale attività lavorativa e conducono una vita socialmente attiva, dunque i risultati a distanza dall’intervento sono decisamente soddisfacenti.

Sicurezza, efficacia nell’eradicazione della malattia e miglioramento della qualità di vita dei pazienti fanno di quest’intervento la migliore prospettiva chirurgica al momento disponibile.

Da oltre 15 anni i pazienti con CU o con PAF sono sottoposti ad IPAA, è innegabile che quest’intervento consente una miglioramento della qualità di vita sia nei pazienti sottoposti alla sola terapia medica che di quelli sottoposti a proctocolectomia classica. Ancora limitate alcune attività dei pazienti che devono pianificare le loro vacanze, i momenti di vita sociale e subiscono interferenze anche nella loro attività sessuale.

L’ 89% dei pazienti afferma comunque che il benessere post–operatorio ripaga del disagio dell’intervento, la decisione non è rimpianta dall’ 83% dei pazienti, il 73% consiglierebbe l’intervento ad un amico.

L’incidenza di complicazioni che seguono l’intervento d’IPAA rimane tuttavia rilevante, nonostante una progressiva riduzione rispetto ai primi tempi.

Le principali complicazioni sono:

- Ischemia della pouch (primi sei mesi dopo IPAA)

- Emorragia della pouch

- Sepsi pelvica (specie tra i sei mesi e i due anni)

- Stenosi anale

- Ostruzione del tenue (complicanza precoce che richiede la laparotomia)

- Fistole pouch correlate (specie tra i sei mesi e i due anni)

- m. di Crohn misconosciuta (10% dei casi a cinque anni dall’intervento)

- Scarso contenimento del reservoir (soprattutto dopo due anni)

- Pouchite

Talora queste complicanze richiedono la soluzione chirurgica, nel 39% dei pazienti con CU: laparotomia disostruttiva, escissione della pouch ischemica, operazioni per fistole, trattamento chirurgico della sepsi pelvica, dilatazioni anali, correzioni del prolasso della pouch, …

2 commenti:

monula ha detto...

nrwjp

monula ha detto...

Il 27.6.2005 ho avuto un intervento di proctocolectomia totale con ileorettoanastomia con confezione di Pouch a J, per neoplasie sincrone colon dx e retto .Non ho avuto chemioterapie per fortuna. L'unico inconveniente e' quello che anche osservando una dieta ferrea cioe' senza grassi animali, insaccati, pepe, fritture etc etc, non riesco ad avere meno di 5 evacuazioni al giorno, pero' quasi tutte dalle ore 14 alle ore 23.30. Dopo l'intervento sono stato 18 giorni in ospedale e 6 giorni e notti completamente digiuno e senza poter bere neanche una goccia d'acqua, (mi alimentavano pero' con quelle sacche per via endovena) Non ho avuto dolori di alcun genere, ne' febbre, niente di niente grazie a Dio. Ringrazio il Prof. Raffaele Angelo Caliendo (primario chirurgo all'Ospedale San Paolo che mi ha operato) e che e' stato per me un vero Angelo Custode, Grazie ancora Prof. Caliendo a Lei ed a tutta la sua equipe. Mario Di Castro.
napoli 28.6.2008