domenica 3 febbraio 2008

Esami del 5 febbraio prossimo

Cari ragazzi,
ho chiesto alla dott.ssa Emiliani di poter spostare la mia parte di esami nel pomeriggio del 5 invece della mattina. appena ho notizie vi informerò, intanto buono studio

lunedì 28 gennaio 2008

Artrite reumatoide e spondilite anchilosante

L’artrite reumatoide è una malattia infiammatoria cronica che colpisce le articolazioni diartrodiali

La prevalenza della malattia è intorno allo 0,3-2% della popolazione con una invidenza di 2-4 nuovi casi/10.000 adulti/anno. Le femmine sono più colpite dei maschi con un rapporto 4:1 e l’età di più frequente insorgenza è tra i 40 ed i 60 anni

Eziopatogenesi

Non voglio annoiarvi con le mille ipotesi proposte come meccanismo eziopatogenetico nell’artrite reumatoide. L’ipotesi che attualmente gode di maggiori consensi prevede che la malattia si sviluppi quando in un individuo geneticamente predisposto agisce un antigene scatenante. Tale incontro determinerebbe una attivazione del sistema immunitario che, attraverso una complessa serie di eventi coinvolgente sia l’immunità umorale che quella cellulare, porterebbe allo sviluppo di un processo infiammatorio acuto e, successivamente, al suo mantenimento e cronicizzazione.

Per quanto riguarda la predisposizione genetica, è stato dimostrato che l’assetto HLA-DR4 positivi è presente nel 60-70% dei soggetti che presentano artrite reumatoide e questi presentano un rischio 4-5 volte più elevato di manifestare la malattia rispetto alla popolazione generale.

Per quanto riguarda gli antigeni scatenanti, possono essere sia di tipo infettivo, virale (virus dell’epatite, della rosolia, della varicella, della parotite, adenovirus, Epstein-Barr) o batterico (Escherichia coli, clostridi, micoplasmi), sia autoantigeni come il collagene o i proteoglicani che fanno parte della capsula articolare

Patogenesi

Un primo stadio è completamente asintomatico e consiste nel riconoscimento dell’antigene e nell’inizio della cascata di fenomeni che porteranno al danno articolare. Questi sono costituiti in particolare dalla formazione di un processo infiammatorio acuto della sinovia e, successivamente, nella formazione del panno sinoviale, espressione della cronicizzazione del processo. In una prima fase, il panno sinoviale ha una crescita non polarizzata, quindi cresce nello spazio articolare ma senza invasione delle strutture intorno. Mano a mano che questo processo continua, inizia la fase clinica della malattia con il dolore e gonfiore mattutino. Il processo prosegue con la polarizzazione della crescita del panno sinoviale a cui rimane di invadere prima la cartilagine jalina articolare e poi l’osso subcondrale.

Quadri clinici

L’esordio della malattia può essere graduale ed insidioso o acuto. Le manifestazioni articolari rappresentano la modalità di esordio più frequente, anche se nel tempo si assoceranno i sintomi dovuti al coinvolgimento di altri organi. Possono essere coinvolte più articolazioni con distribuzione simmetrica oppure una o poche articolazioni. In alcuni casi le manifestazioni articolari possono essere accompagnate da sintomi sistemici quali febbre, astenia, perdita di peso, mialgie e rash cutanei.

Le manifestazioni articolari hanno una distribuzione simmetrica e ad andamento centripeto, ossia sono coinvolte prima le piccole articolazioni di mani e piedi e poi, via via, le altre articolazioni più prossimali degli arti con carattere aggiuntivo, ossia non hanno finito di far male le prime articolazioni che iniziano a far male delle altre. Il sintomo articolare più frequentemente descritto è il dolore, spontaneo e continuo, aumentato dal movimento e dal carico. Altro sintomo tipico è la rigidità articolare, più evidente dopo una luna inattività ed in particolare, quindi, al mattino, generalmente di lunga durata. Il paziente riferisce anche debolezza e facile stancabilità nell’eseguire movimenti articolari. Sul versante clinico, le articolazioni interessate si presentano tumefatte a causa del versamento articolare e dell’ipertrofia/iperplasia della membrana sinoviale e dei tessuti molli periarticolari.

Le mani sono il primo e più evidente bersaglio della malattia ed in particolare le articolazioni interfalangee prossimali e le metacarpofalangee. Con il progredire del processo flogistico si possono instaurare dei fenomeni di deformazione come la deviazione ulnare delle dita a colpo di vento o delle dita a collo di cigno.

Le stesse alterazioni che si registrano alle mani si possono verificare ai piedi. Vi è un iniziale metatarsalgia con successiva sublussazione delle teste metatarsali e valgismo dell’alluce.

Tra le manifestazioni extraintestinali, occorre ricordare le sierositi (flogosi delle sierose come la pleura polmonare, il pericardio od il peritoneo), i noduli cutanei e le vasculiti. I noduli cutanei, in particolare, si formano sulla superficie estensoria dei gomiti e degli avambracci e, nelle persone allettate, sul sacro e sulla nuca

La terapia, ovviamente, si avvale di farmaci anti-infiammatori non steroidi, cortisonici, immunosoppressori e, più di recente, anticorpi monoclonali anti-Tumor necrosis factor (infliximab, adalimumab, etanercept)

La spondilite anchilosante è una malattia che colpisce selettivamente lo scheletro assiale, a carico del quale col passare del tempo si determina una diffusa rigidità esito di un processo infiammatorio cronico del connettivo fibroso e dell’osso nelle sedi di inserzione di tendini e legamenti.

Sono colpiti in particolari giovani maschi con una prevalenza dello 0,1-0,2%.

Anche a carico della spondilite anchilosante è stata individuata una predisposizione genetica che si esprime in particolare con la positività all’HLA-B27.

Nello scheletro dei pazienti con spondilite anchilosante il processo infiammatorio riguarda prevalentemente le entesi, cioè le giunzioni dei legamenti all’osso (entesite). Quando il processo inizia a coinvolgere anche la matrice ossea si parla di osteite. Tipici della spondilite sono i processi di ossificazione dei legamenti, tendini e capsule osteoarticolari e la formazione dei sindesmofiti. La progressione delle lesioni è ascendente, per cui il sintomo della rigidità riguarderà prima il bacino e le lombari e poi le dorsali sino alle cervicali

Il sintomo più importante è la rigidità ed il dolore della colonna per cui il paziente si trova progressivamente a non poter raddrizzare la colonna. Una definizione molto efficace ha definito i pazienti con spondilite come coloro che hanno smesso di guardare il cielo

La figura qui allegata meglio descrive il quadro clinico.

L’approccio terapeutico è simile a quello dell’artrite reumatoide. In questo caso è ancora più importante la diagnosi precoce prima di deformazioni irreversibili


domenica 27 gennaio 2008

L'infarto miocardico

Definizione: necrosi zonale del muscolo cardiaco secondario ad un’ischemia acuta che dura un lasso di tempo sufficiente a creare un danno irreversibile.

Nella maggior parte dei casi, l’IMA è dovuto ad una trombosi coronarica sovrapposta ad una lesione della parete vasale sede di una placca ateromasica. Pur tuttavia, come già detto sopra, non sono infrequenti i casi di infarto miocardico a coronarie integre, legato ad uno spasmo prolungato.

È probabile, tuttavia, che la trombosi giochi un ruolo dominante e questo spiegherebbe anche la efficacia della fibrinolisi nei pazienti con IMA.

Sul piano anatomo-patologico possiamo distinguere un infarto transmurale, quando viene coinvolto tutto lo spessore del muscolo cardiaco dall’infarto intramurale o subendocardico, quando la lesione rimane all’interno dello spessore della parete

Le necrosi più limitate avvengono se l’ostruzione è più distale o se colpisce dei rami coronarici minori. Paradossalmente, gli infarti subendocardici sono più frequenti nei cuori con circolo coronarico molto compromesso, questo perché sono già attivi molti circoli collaterali che riescono a “salvare” del tessuto miocardico.

La sede dell’infarto miocardico è correlata alla localizzazione dell’ostruzione coronarica. In particolare:

Ostruzione discendente anteriore: necrosi anteriore ventricolo sinistro, regione apicale, parte anteriore del setto, parete antero-laterale, muscolo papillare

Ostruzione arteria circonflessa: parete laterale

Ostruzione discendente posteriore: necrosi parete infero-posteriore, terzo posteriore del setto, muscolo papillare postero-mediale

La conseguenza di una zona muscolare infartuata è la sua sostituzione con tessuto fibrotico, ovviamente privo di capacità contrattile. Questo porta alla individuazione ecografia di zone di muscolo cardiaco con alterazione della mobilità come:

Asinergia (asincronismo di contrazione di segmenti di miocardio

Ipocinesia (riduzione dell’accorciamento)

Acinesia (mancanza dell’accorciamento)

Discinesia (espansione sistolica paradossa)

La Malattia di Crohn

La Malattia di Crohn

La MC è un processo infiammatorio cronico che coinvolge la parete intestinale a tutto spessore. È caratterizzata da lesioni segmentarie alternate con aree indenni che possono localizzarsi in tutto il tratto gastroenterico. La sede di localizzazione più frequente è l’ultima ansa ileale ed il cieco.

Dal punto di vista clinico, l’esordio della malattia si presenta acutamente nel 20% dei casi; più frequentemente si osserva una storia di mesi, o anche di anni, con una sintomatologia spesso modesta ed aspecifica. Nel 55% dei pazienti viene riportata anamnesticamente la presenza di lesioni perianali, in assenza di altri segni o sintomi, anche molti anni prima dei disturbi intestinali. La diagnosi viene posta nel 64% dei casi entro 20 mesi dalla comparsa dei primi sintomi, mentre nel 19% dei casi vi è un intervallo di oltre 5 anni tra l’inizio della sintomatologia e la diagnosi. La variabilità osservata in tale arco di tempo può in parte dipendere dalla aggressività della malattia: i pazienti con sintomatologia molto sfumata vengono spesso considerati affetti da “sindrome dell’intestino irritabile”. I sintomi principali sono: diarrea, dolore addominale e perdita di peso. Le caratteristiche della diarrea variano secondo la localizzazione della malattia. Nella localizzazione colica, la diarrea può presentarsi di scarsa quantità ed associata ad urgenza e tenesmo, mentre nella localizzazione ileale, la diarrea è aggravata dalla alimentazione ed è più copiosa. La sede del dolore è legata alla sede di malattia e viene esacerbato dall’alimentazione sia come causa di diarrea sia, nei casi avanzati, legato alla presenza di stenosi. La perdita di peso è legata non solo al malassorbimento dovuto sia all’alterazione indotta dalla malattia sia, in caso di presenza di stenosi, ad un overgrowth batterico che, causando una deconiugazione dei sali biliari, riduce l’assorbimento dei grassi con conseguente steatorrea, ma anche al ridotto apporto alimentare che il paziente instaura per ridurre il dolore stesso o la diarrea. Meno frequentemente, la MC si presenta con il solo coinvolgimento perianali ed il disagio ad esso legato, con un sanguinamento rettale, con artralgie sieronegative in particolare nelle localizzazione coliche.

La radiologia svolge ancora un ruolo di primo piano sia nella diagnosi di malattia che nella individuazione delle sue complicanze. L’esame radiologico più indicato e gli aspetti suggestivi di MC, variano a seconda della localizzazione della malattia.

Le lesioni più caratteristiche sono le ulcere longitudinali, disposte sopra le placche del Peyer che nel piccolo intestino sono poste longitudinalmente e sono di lunghezza variabile da 2 a 10cm. Sono di difficile individuazione e sono localizzate sul versante mesenterico; L’aspetto ad “acciottolato”, evidenziato da una disposizione a bande longitudinali e trasversali del bario, seguendo l’andamento delle ulcere. La ulcere profonde interessano tutto lo spessore della parete intestinale assumendo l’aspetto di spiculature, più frequenti sul lato antimesenterico. Con il progredire della malattia, il danno infiammatorio esita in un processo fibrotico che radiologicamente assume l’aspetto di una stenosi più o meno serrata del lume. L’alternarsi di piccole stenosi con aree di viscere indenne (skip lesions) conferisce l’aspetto a corona di rosario tipico della malattia.

Nello studio radiologico del colon è più frequente osservare le ulcere aftoidi, con l’aspetto di ulcere puntiformi con alone iperlucente. In seguito, le ulcere aftoidi raggiungono dimensioni maggiori e si approfondano nello spessore del viscere assumendo l’aspetto di “ulcere bottonute”. Lo studio radiologico con mezzo di contrasto del piccolo e grosso intestino, permette di individuare anche la presenza di fistole entero-enteriche, entero-vescicali ed entero-cutanee e di definirne la portata.

L’esame endoscopico è spesso fondamentale per la diagnosi sia per evidenziare lesioni minime, sia per la possibilità di effettuare prelievi bioptici della mucosa. È, però, reso difficoltoso dalla necessità di visualizzare l’ultima ansa ileale, non sempre raggiungibile e dalla esiguità delle lesioni iniziali (afte). Altri aspetti indicativi sono le ulcere lineari e l’acciottolato. Nel follow up, è utile soprattutto per la valutazione delle complicanze (stenosi, tramiti fistolosi). Riveste nuovamente un ruolo diagnostico e predittivo nella valutazione delle recidive post-chirurgiche.

Altre metodiche non invasive sono, oltre all’ecografia che verrà discussa di seguito, la Tomografia computerizzata con mezzo di contrasto iodato, la Risonanza Magnetica Nucleare (utili soprattutto nella individuazione delle complicanze come la presenza di raccolte ascessuali o di fistole, in particolare perianali) e la Scintigrafia addominale con leucociti marcati.

Questa ultima è una metodica di relativa recente introduzione, utilizzata per la diagnosi di malattia, per la sua localizzazione e per la individuazione delle complicanze. L’affinamento della tecnica permette, inoltre, di stabilire un grading della attività infiammatoria. Non ultimo, nel paziente acuto in cui vi sia indicazione chirurgica, può evidenziare la presenza di eventuali complicanze

Aspetti ecografici della Malattia di Crohn

Nonostante che in passato l’intestino sia stato considerato un difficile campo di applicazione dell’ecografia, per la presenza di gas al suo interno, in anni più recenti il miglioramento tecnologico delle apparecchiature ha permesso di definire sia l’aspetto ecografico delle anse intestinali, costituito dalle immagini della parete e del lume, che quello correlato a varie condizioni patologiche, rappresentato principalmente dall’ispessimento parietale. Questo elemento di semeiotica ecografica è riscontrabile sia nella patologia infiammatoria che in quella neoplastica ed è caratterizzato da un anello periferico ipoecogeno a spessore variabile, che rappresenta la parete ispessita, e da un centro iperecogeno, che rappresenta il lume gassoso; nelle scansioni trasversali, il viscere viene descritto come aspetto “a coccarda”, “a bersaglio” o “pseudorene”, mentre nei piani longitudinali assume un aspetto allungato, che viene definito “a sandwich”.

In particolare, l’impiego dell’ecografia transaddominale fornisce un elevato numero di informazioni nei pazienti affetti da malattia di Crohn sia sulle alterazioni di parete legate alla flogosi, sia sulle complicanze della malattia come stenosi, raccolte ascessuali, fistole.

L’ispessimento parietale è il tipico reperto ultrasonografico delle sedi di malattia, legato sia alla infiltrazione infiammatoria, sia all’edema sia alla successiva fibrosi. In tali condizioni è chiaramente identificabile l’aspetto “a bersaglio” o “a sandwich” e l’aspetto pluristratificato della parete composto da 5 strati. Il primo, centrale, iperecogeno, rappresenta il lume con il suo contenuto gassoso all’interno, che in condizioni patologiche è limitato ad un’area puntiforme o lineare iperecogena; il secondo, ipoecogeno, rappresenta la mucosa; il terzo, iperecogeno, rappresenta la muscolare propria ed infine il quinto, ipoecogeno, rappresenta la sierosa ed il tessuto adiposo adiacente. Nelle fasi avanzate della malattia, quando all’edema si sostituisce la fibrosi, può diventare difficile il riconoscimento di tutti gli strati parietali, con un aspetto di diffusa ed irregolare ipoecogenicità. Attualmente, lo spessore parietale è considerato patologico quando supera i 3mm.

Un altro aspetto caratteristico della malattia di Crohn , evidenziabile con l’ecografia, è la ipertrofia del mesentere. Normalmente, il mesentere è visualizzabile come un’area iperecogena e fissa. In caso di infiammazione, il mesentere va incontro alle stesse modificazioni della mucosa e, all’esame ecografico appare come un alone iperecogeno che circonda i tratti infiammati e crea spazio fra questi distanziandoli e rendendoli pertanto più evidenti.

L’infiammazione transmurale della MC causa edema e fibrosi del mesentere circostante e, caratteristicamente, delle propaggini di grasso mesenteriale si protendono verso il versante antimesenterico del viscere (creeping fat). All’ecografia, queste propaggini di grasso appaiono come effetto massa iperecogena, come normalmente si riscontra in prossimità della valvola ileo-ciecale ed il cieco, e sono responsabili della separazione delle anse intestinali.

Sempre nel mesentere, è possibile evidenziare dei linfonodi di origine reattiva, caratterizzati da forma rotonda o ovalare ed ipoecogeno. Quando sono confluenti possono formare una massa lobulata di varia grandezza ipoecogena.

La valutazione della vascolarizzazione parietale mediante indagine color-doppler aumenta l’accuratezza della ecografia, potendo differenziare gli ispessimenti parietali di natura flogistica dalle forme a genesi ischemica o neoplastica.

Sebbene l’obiettivo della ecografia non sia quello di valutare le lesioni mucosali, le fissurazioni e le ulcere transmurali possono essere visualizzate come irregolarità della mucosa con aspetto di linee marcatamente iperecogene che attraversano la parete ispessita. Possono mettere in comunicazione due anse intestinali adiacenti che pertanto appaiono ecograficamente strettamente adese tra loro.

Complicanze della Malattia di Crohn

Le stenosi sono una complicanza tipica della malattia di Crohn. All’ecografia, queste lesioni appaiono come un’ansa fissa, con pareti ispessite e dilatazione dei tratti a monte.

Le fistole sono visualizzabili ecograficamente come immagini serpiginose che mettono in comunicazione due anse intestinali (entero-enteriche), un’ansa intestinale e la cute (fistole entero-cutanee) oppure un’ansa intestinale e la vescica (fistole entero-vescicali). Nel caso della malattia perianale con presenza di fistole, l’ecografia transanale è in grado di escludere l’eventuale presenza di raccolte ascessuali e di definire il tipo di fistola (semplice o complessa).

L’aspetto ecografico degli ascessi nella MC varia a seconda dello stadio evolutivo e non differisce dall’aspetto classico della raccolta ascessuale. Nella fase iniziale, essendo costituiti da materiale flogistico e necrotico, si possono visualizzare delle lesioni ipoecogeno con contorni irregolari e sfumati; successivamente il tessuto colliqua e si assiste alla formazione di una raccolta liquida più o meno corpuscolata, che appare come area anecogena a contorni irregolari con echi in sospensione o stratificati sulla parete posteriore, espressione del pus e dei detriti cellulari. L’evoluzione è caratterizzata da una progressiva riduzione delle dimensioni della lesione con modificazione della ecogenicità interna, espressione della formazione di setti di fibrosi e maggiore regolarità dei margini.

La valutazione dell’attività clinica

La necessità di quantificare l’attività della MC nasce dalla possibilità di graduare l’approccio terapeutico e poi di valutare l’efficacia della terapia effettuata. Tuttavia, i sintomi della MC sono legati a molte variabili quali la sede e l’estensione della malattia, l’intensità di infiammazione, pregressi interventi chirurgici o la presenza di complicanze della malattia stessa. Questo spiega la estrema variabilità di presentazione della malattia.

L’individuazione dei sintomi che meglio caratterizzano la malattia e la determinazione di un loro peso all’interno di un indice ha portato alla creazione di numerosi indici clinici, applicati soprattutto nei trial per ovviare alla soggettività dello sperimentatore.

L’indice sicuramente più usato è il Crohn’s Disease Activity Index (CDAI), disegnato nel 1976 per il National Cooperative Crohn’s Disease Study. Esso nasce, infatti, confrontando tutti i sintomi clinici abituali e alcuni dati obiettivi (considerati variabili indipendenti) con una variabile dipendente costituita dal giudizio clinico del medico. Attraverso un calcolo statistico di regressione multipla, si sono individuate le 8 variabili indipendenti che meglio correlavano con il giudizio del medico e le costanti da applicare ad ogni sintomo. Sebbene non sia usato nella pratica clinica, è a questo indice che si riferiscono tutti i trial tesi a valutare l’efficacia di un farmaco o gli studi di correlazione tra alcuni parametri strumentali e i risultati clinici.

Il CDAI, tuttavia, è costituito da 5 variabili soggettive che risentono molto del giudizio del paziente, del suo stato emotivo e del giudizio del medico. Un punteggio elevato del CDAI, segno di attività clinica, spesso non trova correlazione con l’entità delle alterazioni morfologiche o biochimiche. Questo può spiegare la difficoltà che spesso si incontra nel trovare una correlazione tra alcune metodiche strumentali e questo indice e tra diverse metodiche strumentali.

In molti casi, per ovviare alla soggettività del CDAI, sono stati proposti altri indici in cui sono presenti più dati di laboratorio, facilmente obiettivabili. Questi indici, però, non hanno avuto la stessa fortuna del CDAI, che risulta ancora l’indice più usato.

Gli indici di laboratorio sono stati ampiamente studiati nel MC nel tentativo valutare la presenza e la severità del processo infiammatorio. Rappresentano un valore aggiunto all’indice clinico, in quanto, sebbene presentino una scarsa correlazione con l’attività clinica, possono dare altri indicazioni utili. Ad esempio, valori normali di PCR in un paziente con spiccata attività clinica, possono essere indicativi della presenza di una stenosi fibrotica, causa della sintomatologia. Valori elevati di PCR in un paziente con scarsa sintomatologia clinica, possono essere sospetti per la presenza di una raccolta ascessuale.

La valutazione endoscopica, se riveste una importanza fondamentale nella diagnosi della malattia, non risulta utile nella monitorizzazione della malattia o del successo terapeutico. Uno studio francese del GETAID, infatti, ha dimostrato come le lesioni endoscopiche legate alla malattia, non risentano della terapia steroidea più protratta, con il paziente ormai in remissione clinica.

Tale valutazione cambia in caso di bonifica chirurgica della sede di lesione. La valutazione a tre mesi - un anno della recidiva endoscopica secondo lo score di Rutgeerts, infatti, permette di stabilire precocemente un alto rischio di recidiva clinica o meno, che può essere adeguatamente trattato.

L’introduzione della terapia con anticorpi monoclonali anti-TNFa ha radicalmente modificato il ruolo della endoscopia. Infatti, i dati provenienti dai primi studi non controllati prima e dallo studio sul mantenimento della remissione (ACCENT I), hanno confermato non solo che il trattamento con Infliximab è in grado di ottenere la remissione delle lesioni mucosali evidenziabili endoscopicamente e dell’infiltrato infiammatorio evidenziabile istologicamente, ma che, in questi pazienti, si ottiene un più prolungato periodo di remissione e una modifica della storia naturale della malattia.

La colite ulcerosa

Definizione

La colite ulcerosa (CU) insieme al morbo di Crohn appartiene al gruppo delle malattie infiammatorie croniche intestinali (MICI), patologie ad eziologia sconosciuta. La colite ulcerosa interessa la sola mucosa dell’intestino crasso, coinvolge costantemente il tratto retto - sigma e può interessare anche l’intero colon.

Dalla diversa localizzazione della malattia è possibile identificare varianti diverse:

- proctosigmoidite, malattia con interessamento del retto-sigma, la forma più frequente (45% dei casi);

- proctite, è colpito solo il sigma;

- colite totale;

- colite sinistra.

Attualmente l’incidenza si attesta attorno a 9/100000, mentre la prevalenza aggiunge un valore pari a 120/100000 (1).

La distribuzione geografica in Europa evidenzia la presenza di un gradiente Sud - Nord che negli ultimi 20 anni è andato progressivamente riducendosi, per effetto di un aumento dell’incidenza di CU nei paesi del Bacino del Mediterraneo (2).

Nella maggiore parte delle casistiche l’incidenza della CU è maggiore negli uomini, forse per effetto di una diversa esposizione ad alcuni fattori di rischio come la sospensione dal fumo (3).

La malattia può comparire a qualsiasi età, è possibile anche un esordio in età pediatrica sebbene il picco di maggiore incidenza s’identifichi tra la seconda e la terza decade di vita.

Aspetti eziopatogenetici

Sebbene la CU sia malattia nota da almeno un secolo, ancora non si conoscono le cause che portano alla progressiva distruzione dell’intestino nelle MICI.

Si tratta probabilmente di malattie a patogenesi multifattoriale in cui, in individui geneticamente predisposti, si sviluppa un’alterata risposta immunitaria ad antigeni presenti all’interno della flora batterica intestinale.

La malattia in fase d’attività presenta come manifestazione cardine diarrea e sanguinamento rettale. Nella proctite può esservi stipsi, al contrario di quanto si verifica nelle altre localizzazioni di malattia. Altri sintomi e segni comprendono: dolore addominale, calo ponderale, anemizzazione, febbre, specialmente per malattie estese. Possono comparire manifestazioni extraintestinali di malattia come il coinvolgimento articolare aspecifico di natura flogistica, le lesioni oculari (scleriti, uveiti), la spondilite anchilosante HLA B27 correlata, l’eritema nodoso e il pioderma gangrenoso.

Elemento essenziale per la diagnosi di CU è la clinica, Truelove e Witts nel 1955 hanno stabilito tre diversi livelli di gravità della malattia in funzione dei sintomi e dei segni.

L’attività della malattia è generalmente graduata secondo gli indici di seguito riportati:

Forma severa

Frequenti scariche muco – ematiche (>6/die)

Febbre (>37,5°C)

Tachicardia (F.C.>90 b/min)

Anemia (riduzione Hb > 25%)

VES>30mm/h

Forma intermedia

Manifestazioni intermedie tra le forme lieve e severa

Forma lieve

Poche scariche muco - ematiche (<4/die)

Non febbre

Non tachicardia

Anemia modesta

VES<30>

Emorragia massiva, perforazione intestinale e megacolon tossico sono le principali complicanze della CU. La perdita della capacità contrattile di un tratto di muscolare per estensione del processo infiammatorio causa progressiva dilatazione del viscere con rischio conseguente di perforazione e richiede un approccio d’urgenza.

Iter diagnostico

L’elemento diagnostico più significativo è rappresentato dalla clinica, altre indagini possono però essere utilizzate a conferma o nell’intento di meglio definire l’estensione della malattia.

Aspetti radiologici

Rx addome a vuoto: consente d’escludere le complicanze che richiedono la chirurgia d’urgenza.

Ecografia addominale: nella fase acuta della malattia è utile per valutare l’estensione e il grado di attività della malattia, specie in pazienti in condizioni critiche che potrebbero peggiorare con indagini contrastografiche o endoscopiche. Controlli ripetuti consentono una valutazione della risposta alla terapia.

Clisma opaco a doppio contrasto: di minore utilità rispetto all’endoscopia nella definizione della natura del processo infiammatorio, controindicato in caso di malattia ad attività severa.

Scintigrafia con leucociti marcati: serve ad identificare, specie nei pazienti con colite severa all’esordio o poco collaboranti, i tratti interessati dal processo flogistico. Inoltre rende possibile distinguere tratti con flogosi acuta da stadi di cronicizzazione o fibrosi scintigraficamente muti.

Aspetti endoscopici

L’indagine endoscopica può essere eseguita con strumento rigido o flessibile. Gli aspetti endoscopici della CU sono ormai bene codificati anche se in fase acuta può riuscire difficile la diagnosi differenziale tra MICI.

Sono caratteristiche della CU: l’iperemia, l’edema e la granulosità diffusa della mucosa con scomparsa del disegno vascolare, il sanguinamento spontaneo o al contatto, le ulcere, in genere superficiali ed attorniate sempre da mucosa infiammata; l’essudato fibrinoso o mucopurulento, il coinvolgimento della mucosa rettale.

Nella fase iniziale si osserva la scomparsa della rete vascolare sottomucosa ed un eritema diffuso con edema della mucosa. L’infiammazione cronica può esitare in una diffusa atrofia della mucosa ed in formazione di isole ipertrofiche di tessuto di granulazione (pseudopolipi). In malattie di lunga durata si perdono elasticità di parete ed austrature, ed il colon appare rigido, uniformemente ristretto, “tubulizzato”. La presenza di aree di stenosi o substenosi deve porre il sospetto di una degenerazione neoplastica e quindi richiede un accurato follow-up. Questi aspetti si osservano a livello della mucosa del retto e il processo si realizza come retrodiffusione.

Fondamentale nella diagnosi differenziale con malattia di Crohn, l’endoscopia consente di visualizzare direttamente la mucosa e di eseguire prelievi bioptici in sedi multiple, il retto è per definizione interessato nella CU, tuttavia bisogna ricordare che l’uso di terapia topica specifica può trarre in inganno, migliorando lo stato della mucosa fino a simularne l’integrità. L’accuratezza diagnostica dell’endoscopia nella CU è del 90%, con una percentuale d’errore del 5%, nel restante 5% la diagnosi rimane indeterminata.

Utile anche nel follow-up della malattia, in caso di colectomia subtotale consente il monitoraggio della mucosa rettale residua che mantiene capacità degenerative; in caso di colectomia totale invece si studia il reservoir ileale per identificare eventuali segni d’infiammazione. I soggetti con CU hanno rischio maggiorato di sviluppare cancro per questo nelle malattie di lunga durata i pazienti debbono essere sottoposti a controlli successivi per identificare precocemente alterazioni che possano predisporre all’alterazione neoplastica (displasia di vario grado).

Aspetti anatomo – patologici

Malattia limitata al grosso intestino, nelle forme estese all’intero colon è possibile il coinvolgimento occasionale dell’ultima ansa ileale (back-wash ileitis); anche l’appendice può risultare interessata dal processo. Nel 25%-50% dei casi si tratta di proctite o proctosigmidite, che rimangono confinate nel 90% dei casi.

Fase di attività

Le cripte si presentano allungate e le cellule caliciformi mostrano una ridotta attività mucipara. Nella lamina propria si osserva un diffuso infiltrato flogistico cronico tipo linfocitoplasmacellulare con ricca componente granulocitaria, anche eosinofila, con edema e congestione capillare ed aumento dello spessore della mucosa; nella mucosa rettale i follicoli normalmente presenti possono aumentare fino a configurare l’aspetto di proctite follicolare. I neutrofili compenetrano l’epitelio dando luogo ad ascessi criptici, per raccolta di essudato nel lume ghiandolare. Raramente l’infiltrato si estende sino alla mucolaris mucosae e le ulcerazioni si approfondano a tutto spessore (a differenza di quanto accade nella malattia di Crohn). Aumenta il turnover epiteliale per effetto di fenomeni regressivi e rigenerativi.

Fase di risoluzione

La riduzione dell’attività infiammatoria consente all’epitelio di riprendere il suo aspetto normale. L’infiltrato si riduce progressivamente lasciando occasionali criptiti ed ascessi criptici, in rapporto all’entità ed al numero di episodi di attività le cripte si diradano, accorciano e ramificano; la quota linfocitaria e quella plasmacellulare si dirada di poco e mantiene in genere distribuzione diffusa.

Fase di remissione

La mucosa si presenta assottigliata, le cripte distorte e diradate per effettiva riduzione di numero. L’atrofia delle cripte comporta distanziamento dalla muscolaris mucosae, talvolta ispessita o con occasionali slaminamenti in corrispondenza di precedenti ulcerazioni. A livello delle cripte è abbastanza frequente la metaplasia a cellule di Paneth, espressione di danno cronico, ed aumento delle cellule argirofile. Nella lamina propria si riduce notevolmente l’infiltrato; non si osserva fibrosi. Nelle coliti di lunga durata e trattate è possibile il riscontro istopatologico di distribuzione non diffusa e discontinua dell’attività infiammatoria con aree relativamente normali e mancato interessamento del retto che tuttavia non comportano la modifica di una pregressa diagnosi di CU in malattia di Crohn.

Aspetti laboratoristici

L’osservazione degli indici aspecifici d’infiammazione (VES, PCR, mucoproteine, alfa-2-globuline) consente di monitorare il decorso della malattia e di riconoscerne le fasi d’attività.

Segni e sintomi di tossicosi quali leucocitosi, disidratazione, disturbi della coscienza, squilibri idroelettrolitici, ipotensione, dolore addominale o irritazione peritoneale possono definire pazienti ad alto rischio che potrebbero anche sfuggire ad una rigida valutazione applicando i criteri di Truelove.

Decorso

La RCU è caratterizzata da un decorso imprevedibile con fasi di remissione clinica prolungate intercalate ad episodi di riacutizzazione, non riferibili ad alcun fattore noto.

La storia naturale della malattia prevede generalmente una progressiva riduzione col passare del tempo della frequenza e della severità degli attacchi. Lo stato di remissione è definito dall’assenza di sintomi clinici, dalla normalità dei dati di laboratorio e degli aspetti endoscopici, con ciò tuttavia non si esclude la presenza d’infiammazione microscopica con progressione del danno alla mucosa. Elementi istopatologici quali infiltrati granulocitari e ascessi criptici alla sospensione della terapia si associano ad alto rischio di recidive a breve.

La probabilità che la malattia divenga cronicamente attiva è fortunatamente bassa (<1%).

Terapia medica

Il controllo sintomi durante le fasi d’attività della malattia, la prevenzione delle ricadute durante le fasi di remissione sono gli obbiettivi del trattamento farmacologico.

Le riacutizzazioni severe richiedono il ricovero in ambiente protetto, dove può essere praticato un trattamento medico intensivo per 5-7 giorni. Secondo lo schema suggerito da Truelove:

1. Steroidi per via endovenosa ad alte dosi (0,7-1 mg/Kg/die di prednisolone);

2. Controllo d’eventuali squilibri idroelettrolitici e volemici (se gravemente anemici, i pazienti possono essere sottoposti a trasfusione).

L’alimentazione per via orale nei primi giorni dopo l’episodio acuto, non ne modifica l’esito, ma normalmente si evita o si sceglie una dieta leggera. La scelta della nutrizione parenterale totale è riservata a casi di grave malnutrizione.

Nel 60-70% dei casi questo trattamento è in grado di determinare un miglioramento sostanziale; il trattamento intensivo è oggi prolungato fino a 7-10 giorni sebbene manchi l’evidenza di migliori risultati in una percentuale maggiore di casi.

La terapia antibiotica, come dimostrano diversi trials, non risulta d’aiuto alla terapia steroidea. Eccezione è riservata all’impiego della rifaximina, antibiotico non assorbibile ad ampio spettro, che in uno studio controllato vs placebo s’è dimostrata efficace nel ridurre lo score endoscopico e nel controllo d’alcuni parametri clinici.

Nei pazienti con sintomatologia non completamente controllata dalla terapia medica tradizionale, può essere indicato il trattamento con Remicade (Infliximab, anticorpo monoclinale anti-TNF) o, in seconda istanza ciclosporina (CYA) somministrata in infusione endovenosa (2-5 mg/Kg/die).

Solo negli ultimi 10 anni sono state messe a punto preparazioni varie di acido 5-aminosalicilico (5-ASA), topiche (come supposte, clismi, foam, e gel) ed orali, capaci di rilasciare con meccanismi diversi (pH dipendente, pH/tempo dipendente) il principio attivo. La terapia topica è vantaggiosa sia per la diretta somministrazione del principio attivo, anche ad alte dosi, sulla mucosa sede di lesione, sia per la riduzione del rischio di tossicità sistemica per eccessivo assorbimento del farmaco. Le formulazioni rettali sono di primo impiego nelle forme ad attività lieve o moderata delle coliti distali, clismi, foam e gel sono in grado di retrodiffondere e sono impiegati anche nel trattamento delle forme più estese, mentre nella proctite attiva sono indicate le preparazioni in supposte

Esiste ormai l’evidenza dell’efficacia della terapia con 5-ASA dopo somministrazione orale con effetto dose - dipendente e minima dose efficace di 2 g/die (aumentabile fino a 3,6-4 g/die). La combinazione delle due preparazioni, orale e topica, nella pratica clinica consente una più rapida risoluzione dei sintomi.

I nuovi preparati steroidei ad azione topica (budesonide, beclometasone dipropionato) interferiscono meno con l’attività dell’asse ipofisi - surrene pur avendo efficacia sovrapponibile a quella degli steroidi tradizionali.

La corticodipendenza corrisponde alla capacità di ridurre sino a lieve l’attività della malattia cronicamente sintomatica solo mediante continua somministrazione di steroidi; essa può essere contrastata dall’utilizzo di farmaci immunosoppressori come azatioprina (AZA) e 6-mercaptopurina (6-MP). Il termine di colite distale refrattaria è riservato ad una malattia che non risponde a 6-8 settimane di terapia con 5-ASA in combinazione con steroidi.

La prevenzione delle riacutizzazione richiede terapia con 5-ASA per os se in forme estese, in clismi, foam o supposte, se in forme distali.

Terapia chirurgica

Circa 1/3 dei pazienti con CU richiedono la terapia chirurgica. La scelta chirurgica può essere dettata sia dalla comparsa di complicanze sia per mancanza di un adeguato controllo dei sintomi della malattia facendo uso della terapia medica. Esistono più opzioni chirurgiche sia per l’intervento eseguito in urgenza che per quello eseguito in elezione, queste si sono evolute significativamente nel secolo scorso, ciascun intervento presenta vantaggi e svantaggi.

L’approccio chirurgico d’urgenza è necessario qualora compaia la più temibile complicanza della CU: il megacolon tossico. Il paziente in stato di tossicosi si presenta con febbre, tachicardia, dolorabilità addominale, distensione, disidratazione, ipotensione, squilibri idroelettrolitici ed anemia. In condizioni d’urgenza l’intervento di scelta è oggi rappresentato dalla colectomia sub - totale, viene lasciato in sede un lungo moncone rettale (dal sigma distale), trattato topicamente con terapia medica in attesa di una ricostruzione definitiva. All’affondamento del moncone sotto al perineo si preferisce la colectomia con fistola mucosa sovrapubica, aperta o chiusa, abboccando il retto alla parete addominale. Questo consente di ridurre al minimo i fenomeni fibrotici a livello dello scavo pelvico, quindi anche il rischio di sanguinamento del tessuto cicatriziale negli interventi successivi.

In condizione d’elezione, la maggiore indicazione al trattamento chirurgico è rappresentato dall’intrattabilità dei sintomi o dalla comparsa d’importanti effetti collaterali dovuti alla terapia medica.

Nei pazienti con CU il rischio di cancro del colon - retto aumenta di circa lo 0,5% ogni anno dopo la prima decade di malattia. Anche l’estensione della malattia all’intero colon, la presenza di displasia e l’esordio durante l’infanzia o l’adolescenza contribuiscono ad aumentare tale rischio. Stabilire con chiarezza le indicazioni alla chirurgia, in funzione del rischio per il carcinoma del colon – retto è difficile, tutti i pazienti devono essere indirizzati alla chirurgia dopo una valutazione d’insieme delle manifestazioni, intestinali e no.

L’intervento di elezione è la proctocolectomia definitiva con ileo-ano anastomosi e reservoir (anastomosi tipo ileo – ano, IPAA).

Evita la stomia permanente, consente l’evacuazione tramite via naturale, eradica la malattia, elimina o riduce al minimo il rischio di cancerizzazione e la necessità di ricorrere alla terapia anti - infiammatoria. Quest’intervento è stato per la prima volta proposto da Parks nel 1978.

La procedura comprende proctocolectomia con mucosectomia in modo da eradicare completamente gli elementi potenzialmente aggredibili del processo infiammatorio ed eliminare il rischio di malignità. Il confezionamento di una pouch anastomizzata alla linea dentata consente il mantenimento di un’adeguata capacità di contenimento fecale, preserva la continenza e l’evacuazione volontaria, essendo l’anello sfinteriale intatto. Tra gli svantaggi: complessità dell’intervento, rischio di lesione del nervo pelvico, necessità d’interventi multipli, rischio di sequele settiche, pouchite, rischio d’evacuazioni frequenti, possibilità d’incontinenza, necessità di follow-up.

Quest’opzione chirurgica è indicata per:

* pazienti non responsivi alla terapia medica;

* pazienti colectomizzati d’urgenza per colite ulcerosa severa e complicata;

* displasia severa;

* tumori maligni che impediscono la terapia resettiva.

Controindicazioni alla proctocolectomia ricostruttiva: incontinenza del materiale fecale (lesioni degli sfinteri), carcinoma del retto distale che invade gli sfinteri anali o pazienti che hanno preferenza personale per una delle altre opzioni chirurgiche.

L’intervento d’anastomosi ileo- anale con reservoir (IPAA) consiste in un a procedura in due tempi, prima è eseguita la proctocolectomia totale con stomia di protezione, quindi in un secondo tempo è chiusa l’ileostomia e ripristinata la continuità intestinale, generalmente 8- 12 settimane dopo.

Utilizzando la parte terminale dell’intestino tenue è confezionata la pouch (o neo-retto o reservoir), allo scopo di creare un sito di contenimento fecale sufficiente a ridurre il numero d’evacuazioni giornaliere. La scelta su quale tipi di pouch confezionare è a discrezione del chirurgo visto che la funzionalità ad un anno dall’intervento è la stessa per i diversi tipi di pouch. La pouch a J è spesso preferita per la maggiore semplicità dell’intervento, perché più veloce da realizzare, adattabile bene alla concavità del sacro e in grado di accogliere fino a 400 ml e in grado di svuotarsi spontaneamente.

Il reservoir confezionato è poi anastomizzato al retto deprivato della mucosa mediante “stripping” eseguito dall’esterno della pelvi in modo tale da preservare l’integrità dei meccanismi neuromuscolari. L’introduzione delle suturatrici meccaniche ha consentito la realizzazione dell’anastomosi vicino all’ano, rendendo superflua la mucosectomia e riducendo il rischio di traumatismi a carico delle strutture sfinteriali. L’anastomosi meccanica è più alta e rimangono in sede 1-2 cm di mucosa rettale, con rischio di riaccensione della CU e di trasformazione maligna, l’anastomosi coinvolge la “zona anale di transizione” dove mucosa malpighiana e mucosa colica si embricano. Il gruppo della Mayo Clinic preferisce parlare di “ileal pouch distal rectum anastomosis”, evidenziando la non completa eradicazione della mucosa ammalata. La scelta della tecnica è determinata dalla presenza o dall’assenza di displasia sul colon asportato, nel caso di displasia multifocale è preferibile l’anastomosi manuale.

I pazienti hanno in media 4-5 evacuazioni/die, conservano la capacità di differire l’evacuazione a momenti opportuni, svolgono normale attività lavorativa e conducono una vita socialmente attiva, dunque i risultati a distanza dall’intervento sono decisamente soddisfacenti.

Sicurezza, efficacia nell’eradicazione della malattia e miglioramento della qualità di vita dei pazienti fanno di quest’intervento la migliore prospettiva chirurgica al momento disponibile.

Da oltre 15 anni i pazienti con CU o con PAF sono sottoposti ad IPAA, è innegabile che quest’intervento consente una miglioramento della qualità di vita sia nei pazienti sottoposti alla sola terapia medica che di quelli sottoposti a proctocolectomia classica. Ancora limitate alcune attività dei pazienti che devono pianificare le loro vacanze, i momenti di vita sociale e subiscono interferenze anche nella loro attività sessuale.

L’ 89% dei pazienti afferma comunque che il benessere post–operatorio ripaga del disagio dell’intervento, la decisione non è rimpianta dall’ 83% dei pazienti, il 73% consiglierebbe l’intervento ad un amico.

L’incidenza di complicazioni che seguono l’intervento d’IPAA rimane tuttavia rilevante, nonostante una progressiva riduzione rispetto ai primi tempi.

Le principali complicazioni sono:

- Ischemia della pouch (primi sei mesi dopo IPAA)

- Emorragia della pouch

- Sepsi pelvica (specie tra i sei mesi e i due anni)

- Stenosi anale

- Ostruzione del tenue (complicanza precoce che richiede la laparotomia)

- Fistole pouch correlate (specie tra i sei mesi e i due anni)

- m. di Crohn misconosciuta (10% dei casi a cinque anni dall’intervento)

- Scarso contenimento del reservoir (soprattutto dopo due anni)

- Pouchite

Talora queste complicanze richiedono la soluzione chirurgica, nel 39% dei pazienti con CU: laparotomia disostruttiva, escissione della pouch ischemica, operazioni per fistole, trattamento chirurgico della sepsi pelvica, dilatazioni anali, correzioni del prolasso della pouch, …

Il dolore addominale

La diagnosi differenziale del dolore addominale è campo minato. Tuttavia, vi sono alcune caratteristiche che devono essere tenute in conto per potersi orientare.

Prima di tutto, vediamo alcune caratteristiche dell’addome acuto:

- l’alvo è chiuso alle feci e ai gas

- i borborigmi (rumori causati dal movimento del contenuto intestinale) possono essere assenti, molto ridotti, oppure con timbro metallico

- vi possono essere segni di peritonismo (infiammazione del peritoneo, in genere come risposta alla contaminazione legata alla perforazione intestinali) evidenziabili con la Manovra di Blumberg (che consiste in un dolore più forte alla cessazione improvvisa della pressione che si esercita con la mano sull’addome piuttosto che dalla palpazione profonda) questo segno può essere positivo, negativo o non valutabile. Sono da evitare le diciture del tipo ++---.

- Il dolore è importante e può essere ben delimitabile o diffuso a tutto l’addome

- Si può accompagnare ad altri sintomi importanti come la febbre, la nausea ed il vomito, la tachicardia, l’ipotensione

- La radiografia diretta dell’addome può evidenziare la causa del quadro come pa presenza di livelli idro-aerei, la dilatazione delle anse ileali o del colon, la presenza di falce d’aria sottodiaframmatica

È ovvio che questo è un quadro di importanza assoluta. È necessario mettere il paziente a digiuno, posizionare delle vie di accesso venose, un sondino naso gastrico ed eventualmente una sonda rettale, far valutare il paziente al chirurgo per eventuale intervento d’urgenza.

Al di fuori delle condizioni di urgenza, proviamo a vedere le caratteristiche del dolore di alcuni organi addominali e brevemente la loro causa:

prima di fare questo vi metto una figura che vi ricordi la divisione dell’addome in 6 quadranti che nell’ordine sono

ipocondrio destro, epigastrio, ipocondrio sinistro

fianco destro, mesogastrio, fianco sinistro

fossa iliaca destra, ipogastrio, fossa iliaca sinistra


vie biliari

il dolore delle vie biliari parte caratteristicamente dall’ipocondrio destro e si irradia verso la schiena (girando intorno alle coste) e da qui verso l’alto sino alla scapola sinistra. Si associa alla possibilità di palpare il fondo della colecisti, segno della sua dilatazione ed alla positività del segno di Murphy, che consiste nel forte dolore causato dalla inspirazione profonda quando si tiene premuta la mano sul fondo della colecisti. La causa più frequente è la litiasi del coledoco.

Quando il sintomo dolore è seguito dalla febbre e poi dall’ittero, significa che alla litiasi del coledoco si è associata la infezione delle vie biliari (colangite e colecistite). La litiasi della colecisti e del coledoco si può complicare con la cosiddetta pancreatite “satellite”, ossia il dolore diventa molto importante e si sposta in centro addome per il coinvolgimento delle vie escretrici pancreatiche.

L’ecografia addominale insieme agli esami di laboratorio permettono di confermare la diagnosi clinica in pochissimo tempo

Pancreas

Come visto sopra, il dolore della pancreatite può seguire o sovrapporti al dolore delle vie biliari quando siamo di fronte ad una pancreatite satellite. Il dolore della pancreatite è, almeno inizialmente, nella regione periombellicale ma, in poco tempo, si diffonde a tutto l’addome per il coinvolgimento dell’intestino. È un dolore molto forte, che spesso non regredisce con gli anti-dolorifici, che raggiunge rapidamente il suo apice per poi regredire e quindi riprendere a crescere. Il dolore si accompagna ad una serie di altri sintomi, intestinali e non, a seconda della severità del quadro clinico. I sintomi intestinali sono l’occlusione funzionale dell’intestino, a questa si associa il versamento pleurico e pericardico, la insufficienza renale ed epatica.

Vie urinarie

Il dolore da litiasi renale è assolutamente caratteristico e, visto o subito una volta, non si dimentica più. Parte della loggia renale interessata, che si trova circa nella regione lombare, per poi irradiarsi in avanti ed in basso sino ai genitali esterni ed alla parte interna della gamba. Si accentua con la manovra di Giordano, che consiste nel colpire con la mano a taglio sulla loggia renale interessata dal dolore a paziente seduto. Si accentua anche con la pressione sul punto ureterale medio, che è sul fianco corrispondente all’altezza, circa, della ombelicale trasversa.

Si accompagna ad altri sintomi come stranguria e disuria.

La diagnosi è semplice sia per il quadro clinico che per quello ecografico o radiologico e per la presenza di sangue nelle urine. Per conoscenza, il primo trattamento da fare è di far bere il paziente al massimo delle sue potenzialità, poi il dolore può essere controllato con FANS ed antispastici. L’antibiotico può essere utile nel caso si sospetti una infezione. L’apporto di liquidi in vena può essere utile per aumentare la diuresi.

Appendice

Il dolore da appendicite parte in fossa iliaca destra per irradiarsi in basso e verso l’interno della gamba. Viene esacerbato dalla palpazione profonda sull’area appendicolare (punto di Mc Burney posto sulla linea che unisce la spina iliaca antero-superiore all’ombelico, nel terzo medio). Spesso l’appendicite si complica con l’ascessualizzazione, per cui si ha un aumento dei globuli bianchi e, nei casi più severi, un risentimento al movimento della gamba destra per coinvolgimento del muscolo ileo-psoas nella infiammazione, sino a quadro di peritonismo con palpazione di un piastrone reattivo nella sede appendicolare

Cornice colica

I dolori legati alla cornice colica possono essere di varia origine. I più frequenti sono quello legati ad alterazioni funzionali come la sindrome del colon irritabile, altri organici sono le diverticoliti.

Il dolore da sindrome funzionale è generalmente un dolore della cornice colica, diurno, e regredisce con l’evacuazione. Il dolore della diverticolite è localizzato nella sede dei diverticoli infiammati che classicamente è il fianco/fossa iliaca sinistra, ma possono essere presenti ovunque. Il dolore da diverticolite è in genere ben delimitato, si accompagna ad alterazioni dell’alvo e a sintomi sistemici come la febbre.

Vescica

Il dolore è causato soprattutto dal globo vescicale per incapacità/impossibilità allo svuotamento. La palpazione in ipogastrio non solo accentua il dolore ma aumenta anche lo stimolo ad urinare. Si accompagna a febbre. È necessario cateterizzare il paziente ed iniziare un trattamento antibiotico.

Ovaia

Il dolore dovuto alle patologie ovariche è il più difficile da diagnosticare, dato che molto spesso si nasconde (o causa) altri dolori sul versante urinario ed intestinale. La presenza di un ovaio policistico, di cisti ovariche di grosse dimensioni o di una endometriosi, va tenuto in considerazione tutte le volte che viene riferito un dolore nelle fosse iliache o ipogastrio. La diagnosi è difficile e spesso richiede ecografia transaddominale o transvaginale, TC o laparoscopia esplorativa

Angina cardiaca

Ma c’è una malattia del petto marcata da sintomi forti e peculiari, da considerare per il tipo di pericolo che ne deriva, e non estremamente rara, che merita di essere descritta più lungo. La sede di essa e la sensazione di strangolamento e ansia che ne deriva, la fa chiamare impropriamente angina pectoris.

Quelli che ne sono afflitti, sono colpiti mentre camminano (specialmente se salgono su una collina e subito dopo aver mangiato) con una sensazione di dolore più sgradevole nel petto, che sembra che debba estinguere la vita se dovesse aumentare o continuare; ma nel momento in cui questi si fermano, tutto questo fastidio svanisce. William Heberden 1768

Definizione: È un dolore toracico o un’oppressione di origine cardiaca che risulta da un temporaneo squilibrio fra la richiesta e l’apporto di ossigeno al miocardio.

Il ridotto apporto di ossigeno, alla base del processo patogenetico che porta alla sofferenza ischemica, può essere causato dal ridotto flusso ematico coronario che si instaura su coronarie indenni oppure danneggiate. Nel primo caso, la riduzione transitoria del flusso coronarico si presenta senza un aumento della richiesta di ossigeno. In questo caso si tratta di una forma particolare di angina detta variante o angina di Prinzmetal, nella quale c'è all'ECG un sopraslivellamento ST reversivibile da spasmo coronarico, ma non si rilevano gli squilibri enzimatici caratteristici. In questa situazione il rischio di infarto è accresciuto.

Nelle forme più frequenti, sono presenti delle lesioni della parete coronarica, evidenziabili mediante coronarografia, in grado di compromettere il flusso ematico, in particolare quando aumenta il fabbisogno del muscolo cardiaco.

È necessario ricordare, inoltre, che per la loro particolare posizione e per la particolarità dell’organo che irrorano, le coronarie, a differenza delle altre arterie, ricevono sangue durante la fase diastolica, ossia quando la chiusura della valvola aortica e la detensione delle pareti ventricolari permette il transito del sangue. In caso di tachicardia, anche come fisiologica risposta all’aumentato fabbisogno periferico, il tempo di diastole si riduce, per cui la compromissione del lume porta il sistema in area critica di ischemia.

Altre forme di angina sono l’angina pectoris stabile, condizione cronica in cui la frequenza, insorgenza ed intensità del dolore sono prevedibili; di fronte a un quadro meno prevedibile e crescente in termini di frequenza ed intensità del dolore si parla di angina instabile o "sindrome pre-infarto"; in particolare la prima insorgenza di angina in un individuo è sempre, per definizione, instabile (angor instabile primario).

Qui di seguito vengono riportate le caratteristiche cliniche dell’angina cardiaca, molte delle quali già discusse in precedenza.

Qualità del dolore

Senso di oppressione toracica

Bruciore

Senso di strangolamento

Qualità viscerale del dolore (profondo, gravoso, attanagliante)

Aumento graduale dell’intensità seguito da una risoluzione altrettanto graduale

Localizzazione

Regione retrosternale

In un qualsiasi punto tra epigastrio e faringe (da qui il detto del “dolore intorno al diaframma, fagli l‘elettrocardiogramma)

Occasionalmente limitato alla spalla e al braccio sinistro

Raramente limitato al braccio destro

Localizzato alla mandibola

Parte inferiore del collo o tratto superiore del rachide toracico

Regione interscapolare

Irradiazione

Area mediale dell’arto superiore sinistro

Spalla sinistra

Mandibola

Occasionalmente all’arto superiore destro

Durata

Da 30 secondi a 30 minuti. Dolori di durata maggiore devono farci cambiare diagnosi oppure, peggio, far sospettare la presenza di un infarto del miocardio

Fattori precipitanti

Attacco provocato da uno sforzo

Ambiente freddo

Camminare controvento

Camminare dopo un pasto abbondante

Tensione emotiva

Paura, rabbia, stati d’ansia

Rapporti sessuali

Risoluzione dopo nitroglicerina

La risoluzione del dolore si verifica da 45 secondi a 10 minuti dopo la somministrazione di nitroglicerina. In caso di risoluzione successiva, non è causata dalla nitroglicerina ma ad un effetto placebo

Sintomi associati

Respiro corto

Vertigini, stordimento, sincope

Palpitazioni

debolezza

Esami strumentali: come già indicato sopra, il primo esame da fare, possibilmente durante il dolore, è l’elettrocardiogramma a 2 derivazioni. La documentazione ECGrafica è necessaria per identificare la sede dell’ischemia e, da qui, le coronarie coinvolte nel processo. In questo caso l’aspetto elettrocardiografico indicativo di sofferenza ischemica è costituito dal sovra o sotto-slivellamento del tratto ST o dalla inversione dell’onda T che si presenta profonda con la due branche simmetriche nel cosiddetto aspetto “a tenda”.

Il tracciato ECGrafico proposto qui di seguiti permette di vedere, nelle derivazioni precordiali V2, V3 e V4, il sopraslivellamento del tratto ST indicativo di una ischemia acuta anteriore (nel cerchio)











In caso di negatività dell’esame ECGrafico standard, si può ricorrere a vari test da stimolo sia ECGrafici (ECG sotto sforzo), sia con Risonanza magnetica sia con ecografia cardiaca. In tutti i casi si tratta di mettere sotto sforzo il cuore in modo da simulare le condizioni che, nelle precedenti occasioni, avevano scatenato il dolore.

Una volta confermata la presenza di una angina cardiaca, la coronarografia permette sia di localizzare la stenosi sia, se ve ne sono le condizioni, di procedere ad un intervento di disostruzione.

Qui a fianco, un esempio di coronarografia con l’evidenza di una stenosi della coronaria di destra