domenica 27 gennaio 2008

Pneumotorace

Definizione: Patologia del polmone sano caratterizzata dall’accumulo di aria nel cavo pleurico, giunta attraverso il polmone o la parete toracica, con conseguente caduta del gradiente pressorio negativo necessario per l’espansione del parenchima polmonare.








Cenni di fisiologia: non voglio annoiarvi con i dettagli di fisiologia respiratoria, ma alcune nozioni sono indispensabili per capire facilmente di cosa stiamo parlando.

Il polmone non ha muscoli ma solo strutture elastiche che, se non vi fosse l’aria dentro e una pressione negativa che ne stira le pareti fuori, collasserebbe su se stesso. Quindi nella cavità pleurica vi è una pressione negativa, un “vuoto” che tiene disteso il polmone. Quando il diaframma si muove, non fa altro che aumentare questa pressione negativa che stira le pareti polmonari espandendo il parenchima ed aspirando l’aria. Al cessare del movimento del diaframma, la componente elastica richiama il parenchima, espellendo l’aria. Quando questa pressione negativa viene meno, la componente elastica del polmone lo porta a collassate.

Possiamo distinguere2 forme di peumotorace:

1. spontaneo

2. traumatico

Lo pneumotorace spontaneo è causato dalla rottura di bolle d’aria presenti nel parenchima polmonare sin dalla nascita o formatesi come conseguenza di un’area di atelettasia che, stirando il parenchima intorno, causa le bolle. Le forme “congenite” sono tipiche dei soggetti longilinei ed alti e si presentano in seguito a stress fisico.

Lo pneumotorace traumatico è conseguente alla rottura traumatica delle coste o della parete toracica.

In entrambi i casi, la condizione più pericolosa è la formazione di uno pneumotorace iperteso, quando l’aria riesce solo ad entrare nel cavo pleurico ma non ad uscire (vedi il meccanismo a valvola dei lembi nei traumi della parete toracica). In questo caso, la quota di polmone che si collassa può essere completa.

Quadro clinico

Nella forma tipica, lo pneumotorace si presenta con un dolore improvviso ad un emotorace o al dorso, trafittivo, seguito da dispnea anche a sforzi minimi, tachipnea con ipossia

Per la diagnosi di conferma è indispensabile, accanto alla auscultazione che può rilevare una area con scomparsa del murmure vescicolare, l’esecuzione della semplice radiografia toracica in 2 proiezioni.

La terapia dipende dall’entità del pneumotorace e dalla gravità della dispnea. Nella maggior parte dei casi, una piccola falda di pneumotorace tende alla risoluzione spontanea, anche se sono necessari alcuni giorni di ospedalizzazione per seguirne l’andamento e per escludere eventuali recidive. In questi casi, la somministrazione di ossigeno al 50-60% con maschera di Venturi può velocizzare la guarigione.

Nei pazienti con pneumotorace pari al 15-25% di un polmone o con grave dispnea, può essere necessario posizionare un drenaggio.



Dolore pleurico e pleurite

Il dolore pleurico

Definizione: processo infiammatorio che interessa la pleura parietale la cui eziologia è multifattoriale a cui si associa un versamento pleurico

La causa della pleurite può essere legata a patologia prettamente pleurica (neoplasie, processi infettivi, malattia connettivali), ma anche espressione di altre patologie sia del polmone che di altri organi (polmoniti batteriche o virali, neoplasia polmonari, embolie polmonari, vasculopatie).

Qui di seguito troverete 2 tabelle riassuntive sulle cause della pleurite e sulle cause dei versamenti pleurici (spesso ma non sempre simili)

Tabella: cause di pleurite

  1. Pleurite infettiva
  2. Polmonite con interessamento pleurico
  3. Embolia polmonare recidivante con infarto polmonare
  4. Pericardite acuta
  5. Interessamento neoplastico della pleura
  6. Pneumotorace spontaneo
  7. Frattura costale
  8. Costocondrite acuta
  9. Trauma o stiramento muscolare o tendineo

Tabella: cause di versamento pleurico

Trasudati

  1. Aumento della pressione idrostatica
  2. Insufficienza cardiaca congestizia

Pericardite costrittiva

1. Ostruzione della vena cava superiore

a. Diminuzione della pressione oncotica

b. Ipoalbuminemia da sindrome nefrosica o cirrosi epatica

2. Malattia intraddominale

a. Cirrosi con ascite

b. Dialisi peritoneale

Essudati

1. Infezioni

· Empiema polmonare

· Tubercolosi

· Funghi

· Parassiti

· Virus

· Mycoplasma

2. Neoplasie

· Carcinoma broncogeno

· Carcinoma metastatico

· Linfoma e leucemia

· Mesotelioma

3. Emboli ed infarti polmonari

4. Malattie intraddominali

· Ascesso sottodiaframmatico

· Pancreatite

5. Malattie del tessuto connettivo

· Artrite reumatoide

· Lupus eritematoso

· Sindrome di Dressler

6. Reazione a farmaci

7. Cause varie

· Perforazione dell’esofago

· Febbre mediterranea familiare

· Linfedema

· Mixedema

· Atelettasia

· Uremia

8. Idiopatici

9. Emotorace

Il dolore pleurico è facilmente identificabile: si tratta di un dolore violento, improvviso, episodico, trafittivo, capace di impedire l’inspirazione profonda per riflesso antalgico, scatenato dal minimo movimento, dalla respirazione, da un colpo di tosse e localizzabile come una pugnalata in una zona ben precisa della cassa toracica. Questo quadro può essere alla base della dispnea lamentata dal paziente, costretto ad un respiro artificiale. Possono essere presenti anche sintomi sistemici come la febbre.

La auscultazione della zona di dolore permette di udire un rumore raschiante, come di sfregamento di due superfici ruvide, che non viene modificato dalla tosse del paziente né nella sede né nelle sue caratteristiche. È ovvio che se la pleurite è reattiva ad una polmonite polmonare o ad uno pneumotorace, ci saranno i rumori della polmonite (cosiddetto soffio bronchiale) o del pneumotorace (ossia nessun rumore). Occorre tener presente che se non vi è nessun rumore, la causa può essere un cospicuo versamento pleurico, identificabile con la percussione.

La radiografia del torace non vede i segni di infiammazione pleurica, ma mette ben in evidenza il versamento pleurico.

La toracocentesi (prelievo del liquido pleurico mediante puntura attraverso la parete toracica) permette sia di fare una diagnosi corretta, stabilendo se si tratta di un essudato o di un trasudato, se il liquido è infetto e di che tipo di batterio si tratta, si al suo interno vi siano delle cellule neoplastiche, sia di migliorare le performance respiratorie del paziente riducendone la dispnea.

La TC polmonare è indispensabile per studiare sia il parenchima epatico che il versante vascolare che la pleura

figura





Happy hours: molto spesso, quando il versamento pleurico è cospicuo, viene posizionato un drenaggio di grosse dimensioni in aspirazione continua. È ovvio che questa manovra deve essere fatta con le maggiori precauzioni possibili sia in termini di asetticità sia in termini di velocità di drenaggio del liquido pleurico. Come abbiamo detto (e rivedremo) a proposito del pneumotorace, il sistema polmonare si regola su un equilibrio molto delicato di pressioni. Quando si forma un versamento pleurico, le pressioni si modificano sino a trovare un nuovo equilibrio. Togliere molto liquido pleurico in poco tempo, può comportare il cosiddetto fenomeno di “sbandieramento del mediastino” con compromissione della funzionalità cardiaca o espansione forzata del polmone controlaterale che può complicarsi con un quadro di edema polmonare.

domenica 20 gennaio 2008

Il focolaio broncopneumonico

Una delle più frequenti cause di dolore toracico è il focolaio boncropneumonico, patologia essenzialmente benigna tranne quando va a complicare quadri patologici pre-esistenti ed in particolare quando viene acquisita durante il ricovero in ospedale.

Definizione: infiammazione del parenchima polmonare ad opera di agenti infettivi

Possiamo distinguere una:

Polmonite di comunità: è la polmonite del soggetto che è al domicilio senza precedenti procedure diagnostiche invasive. I batteri più spesso responsabili di questi quadri sono lo streptococcus penumoniae, l’haemophilus influenzae, lo staphylococcus aureus (che spesso complica un pre-esistente quadro influenzale.

Il quadro clinico è caratterizzato dalla febbre, ovviamente, dalla tosse produttiva o meno, dal dolore toracico che viene esacerbato dalla tosse, dal respiro e dai movimenti del torace. Gli esami ematici mostrano una leucocitosi ed un netto rialzo degli indici di flogosi (VES e Proteina C reattiva). La radiografia del torace mostra l’infiltrato infiammatorio come area di consolidamento parenchimale.












Un aspetto particolare, nell’ambito delle polmoniti acquisite in comunità, è quello della polmonite cosiddetta atipica. Questa è caratterizzata, oltre ai sintomi delle forme tipiche, da tosse non produttiva, scarsa leucocitosi ed incremento degli indici di flogosi, segni di interessamento extrapolmonare come cefalea, diarrea, alterazioni degli indici epatici e midollari. La radiografia del torace mette in evidenza un infiltrato di tipo interstiziale. La causa più frequente è il micoplasma pneumonite. Questa forma va presa in considerazione per il fatto che spesso si presenta in soggetti immunosoppressi (per malattie o per assunzione terapeutica di farmaci immunosoppressori) sia per la scarsa risposta alla terapia antibiotica standard, per cui il ritardo di diagnosi può diventare pericoloso.

Nel sospetto, oppure dopo aver posto diagnosi di polmonite, è sempre indicato effettuare i prelievi ematici, urinari e dell’espettorato per cercare di isolare l’agente causale. In caso di versamento pleurico e di quadro non ben differenziato rispetto a formazioni neoplastiche, può essere indicato effettuare un prelievo del versamento per colturale ed esame citologico.

Polmonite nosocomiale: sono le polmoniti insorte nel paziente ricoverato da almeno 48 ore oppure dimesso da non più di 8 giorni. La definizione di polmonite nosocomiale vale anche per coloro che abbiano trascorso molto tempo in ospedale (per esempio il personale medico e paramedico). Le caratteristiche principali della polmonite nosocomiale sono : il tipo di bacillo causa della polmonite, molto spesso antibiotico-resistente e la tipologia del malato, molto spesso immunocompromesso.

Per questa serie di motivi, la polmonite nosocomiale è una entità molto serie, un evento estremamente sfavorevole che rischia di essere la causa di morte del paziente.

I batteri più spesso selezionati come causa di polmonite nosocomiale sono: enterobatteri, klebsielle, pseudomonas, stafilococchi o legionelle

Fattori di rischio per la polmonite nosocomiale

  • Età avanzata
  • Severità della o delle patologie associate
  • Intubazione
  • Uso di apparecchiature respiratorie (da qui la perenne raccomandazione di usare una sola volte i disposable della C-PAP)
  • Interventi chirurgici maggiori
  • Pregresso ampio uso di terapia antibiotica

Il quadro clinico va a peggiorare la situazione generale, con una febbre che non ha risposto ai precedenti trattamenti antibiotici ed una accentuazione dei sintomi polmonari quali dispnea e tosse.

Terapia

È ovvio che la terapia, preceduta, come già specificato, da un adeguato studio microbiologico del paziente, è costituita dall’antibiotico. Questo sarà a scelta empirica nel caso delle forme di polmonite di comunità, ad ampio spettro e sulla base, possibilmente, della emocoltura nel caso delle forme nosocomiali

Happy hours

I prelievi per le emocolture, nel rispetto delle procedure ormai standard per l’esecuzione di un corretto prelievo per emocoltura, vanno fatti non all’apice della febbre ma quando inizia il brivido che poi porterà alla febbre. Se considerate la sequenza di eventi, la batteriemia (presenza di batteri nel sangue) stimola i recettori della regolazione termica che portato al brivido in modo da aumentare il calore corporeo. Al brivido consegue la febbre. Quindi nel brivido si ha la massima possibilità di poter avere in circolo ancora batteri da colturare. Se facciamo il prelievo al picco delle febbre, questa possibilità è veramente remota. Molto spesso il paziente non ha il brivido, comunque basta iniziare a fare i prelievi quando la febbre è in salita, anche molto sotto i fatidici 38°C.

Il dolore toracico (inserimento postumo)

Il dolore è un importante sintomo di allarme che, con le dovute eccezioni che possiamo fare nei confronti del paziente neoplastico, non deve essere subito sedato, ma analizzato. In particolare quando il dolore si localizza nell’area toracica dato che, per l’insieme ed il tipo di organi presenti, passa da manifestazione minima clinicamente insignificante a quadri di estrema pericolosità per la vita del paziente. Il rischio di scambiare un dolore non clinicamente rilevante al posto di un quadro di pericolo è molto alto e ne sono la riprova gli articoli di cronaca con la generica definizione di “mala sanità”.

La trattazione sistematica del dolore toracico, lungi dalla serie di variabili che verranno qui di seguito elencate, non richiede nella normale pratica clinica molto tempo, purchè tutto venga effettuato con metodo.

Quali sono i parametri che devo valutare quando vengo allertato su un paziente che riferisce dolore toracico?:

  1. anamnesi
  2. presentazione del paziente
  3. caratteristiche del dolore
  4. localizzazione ed irradiazione
  5. fattori scatenanti
  6. durata
  7. risoluzione

L’anamnesi

L’anamnesi è il primo passo per un corretto inquadramento del paziente, rappresenta un cardine fondamentale nella diagnostica spesso di valore maggiore rispetto alle tecniche strumentali e, contemporaneamente, ha una funzione terapeutica. Tuttavia, l’anamnesi risente molto della esperienza personale, in particolare nel saper intuire che tipo di paziente si ha davanti, ponendo le domande giuste ed ascoltando (ed osservando) le risposte del paziente. Un modo di porsi tranquillo e professionale da al paziente quel senso di fiducia necessario per vincere lo stato d’ansia reattivo alla malattia, confidando che una persona esperta si sta facendo carico della sua situazione.

Le notizie raccolte con l’anamnesi sono fondamentali per potersi districare, senza fare esami strumentali particolarmente complessi, nell’insieme di condizioni cliniche che si manifestano con il sintomo “dolore toracico”.

Tabella: Diagnosi Differenziale del dolore toracico

Cause cardiovascolari

Di natura ischemica

Aterosclerosi coronarica

Stenosi aortica

Miocardiopatia ipertrofica

Grave ipertensione sistemica

Insufficienza aortica

Grave anemia/ipossia

Di natura non ischemica

Dissecazione dell’aorta

Pericardite

Cause gastrointestinali

Reflusso GE

Spasmo esofageo diffuso

Rottura dell’esofago

Cause polmonari

Embolia polmonare

Pneumotorace

polmonite

Cause muscolari e scheletriche

costocondrite

Cause emotive e psichiatriche

Stati d’ansia

Depressione

Psicosi cardiaca

Vantaggio personale

Una prima informazione nell’anamnesi del paziente con dolore toracico è se il dolore è già noto al paziente, se è noto ma con intensità o caratteristiche diverse rispetto alle precedenti manifestazioni o se, in ultimo, è un evento del tutto nuovo. È necessario sapere se il paziente è già un cardiopatico noto oppure ha problemi vascolari quali, ad esempio, un aneurisma[FR1] dell’aorta toracica, se è iperteso o se è già stata posta diagnosi di reflusso gastro-esofageo[FR2] .

Se il paziente ha già una storia di cardiopatia, è probabile che abbia già presentato in passato lo stesso dolore toracico definito poi di origine cardiaca; in questo caso le opzioni possono essere:

  1. il dolore è sovrapponibile, per caratteristiche e modalità di insorgenza, ai precedenti eventi, ed in questo caso siamo davanti ad una cosiddetta “angina stabile” (vedi avanti per approfondimenti)
  2. il dolore è parzialmente sovrapponibile, diverso per intensità o modalità di insorgenza, ed in questo caso siamo davanti ad un evento diverso, come potrebbe essere quello infartuale, oppure si tratta di una angina instabile (vedi avanti per approfondimenti)

Non sempre la cardiopatia è già manifesta e nota, potrebbe essere misconosciuta. Il paziente che si presenta al letto con più cuscini per il riposo notturno, che ha presentato il dolore dopo essersi alzato per urinare (cosa che fa tutte le notti per più volte), che si risveglia con fame d’aria non appena

In caso di aneurisma della aorta toracica già diagnosticato, occorrerà approfondire le caratteristiche del dolore per escludere la presenza di una dissecazione dell’aorta.

Il quadro è reso ancora più difficile dalla presenza di una storia di reflusso gastro-esofageo che, essendo molto diffuso, molto spesso è presente anche in pazienti che hanno avuto dei dolori cardiaci. Lo stato di allarme del paziente porta molto spesso a cercare di escludere l’evento cardiaco anche in dolori che ricordano molto quello esofagei e, per ironia della sorte, rispondono bene al nitroderivato[FR3] , impedendo una diagnosi derivata dalla risposta o meno ai farmaci (ovviamente il dolore pericardio, pleurico o aortico non rispondono a questi farmaci). Il rischio è che si instauri la cosiddetta sindrome del “al lupo, al lupo” che, secondo la fiaba di Esopo, porta a molti controlli inutili e, magari, a sottovalutare l’unico evento importante.

L’eventuale presenza di un diabete nella storia anamnestica del paziente è di fondamentale importanza perché il dolore descritto dal paziente diabetico ha un peso diverso rispetto al paziente non diabetico. È nota la insorgenza di neuropatia periferica nei pazienti con diabete scompensato di lunga durata con il conseguente danneggiamento anche delle fibre nervose nocicettive[FR4] . Questi pazienti spesso presentano quadri di infarto del miocardio completamente silenti dal punto di vista clinico evidenziati con lo sviluppo di una complicanza oppure come reperto occasionale. In caso di dolore o fastidio toracico o precordiale di lieve intensità in un paziente diabetico, quindi, occorre comunque effettuare tutte le procedure per escludere una sofferenza miocardica.

Ancora, se il paziente è allettato con una associata vasculopatia o dopo un intervento chirurgico maggiore, senza che sia stata iniziata una terapia con anti-coagulanti, il dolore toracico deve farci venire in mente la possibilità di un evento embolico polmonare, in cui l’interessamento della pleura porta alla sintomatologia dolorosa toracica. Vedremo nei capitoli successivi quali siano i sintomi specifici che ci possono permettere di differenziare il dolore pleurico da altri dolori toracici.

Il dolore toracico già noto, non imputabile a visceri interni, è il dolore osteocondrale, superficiale, che il paziente presenta da molto tempo e che ha imparato a gestire.

I pochi minuti dedicati all’anamnesi, ci permetteranno anche di fare attenzione a come il paziente si presenta a chi lo interroga. La pratica clinica quotidiana ci insegna che molto spesso sono pazienti anziani che, accanto a problematiche organiche, possono presentare anche una demenza senile se non uno stato di agitazione indotto dal ricovero in ambiente ospedaliero. Non è riscontro infrequente l’essere allertati per un paziente definito come in agitazione psicomotoria, magari nelle prime ore del mattino, che invece presenta un quadro di dolore toracico viscerale che, non potendo essere espresso in maniera razionale e consueta, getta nel panico il paziente da cui la definizione di agitazione da demenza. È molto importante cercare i sintomi neurovegetativi, come la sudorazione algida, il pallore cutaneo, la tachicardia[FR5] e la tachipnea[FR6] , che richiamano l’attenzione su fenomeni organici. Segni indiretti sono le localizzazioni del dolore, per cui nessun paziente con demenza si porterà la mano aperta al petto cercando di rimuovere un qualcosa causa del dolore stesso.

Anche in questo caso, occorre tener conto sia delle psicosi strutturate, di difficilissima identificazione se non dopo ripetuti esami strumentali negativi e grande dispendio di risorse umane e materiali e la su citata sindrome del “al lupo al lupo”.

La tappa successiva, in questa giro ciclistico sulla metodologia dell’approccio al dolore toracico, è sicuramente la definizione delle caratteristiche del dolore toracico. Occorre premettere, anche per quanto detto sopra, che il dolore cardiaco può avere caratteristiche variabili. Viene più spesso riferito come crampiforme, trafittivo, come senso di peso o di oppressione retrosternale, come bruciore. Sebbene nessuna delle definizione suddette sia esclusiva, il dolore toracico viscerale è normalmente riferito come un dolore profondo, mentre il dolore riferito come superficiale è più tipico delle patologie che coinvolgono la articolazioni o i muscoli della gabbia toracica. Inoltre, il dolore puntorio, in particolare, come vedremo nel paragrafo successivo, se anche come sede è limitata e ben definita, è più tipico dei dolori osteocondrali.

Accanto alle caratteristiche del dolore, è necessario indagare la sede di insorgenza del dolor e la sua eventuale irradiazione. Possiamo distinguere i seguenti tipi:

  1. dolore a partenza dall’area retrosternale o precordiale (in genere indicato dal paziente con la mano a piatto sullo sterno, cosiddetto segno di Levine) irradiato a spalle, lato mediale del braccio sinistro, giugulo[FR7] o collo, mandibola, epigastrio. È il dolore tipico dell’angina[FR8] cardiaca o dell’infarto del miocardio(vedi sezioni successive)
  2. dolore a partenza retrosternale con irradiazione verso il collo o con un progressivo spostarsi verso il dorso in regione inter-scapolare (cosiddetta marcia del dolore). Se confermata anche dai rilievi clinici, è il dolore tipico della dissecazione dell’aorta toracica conseguente ad una ateromasia[FR9] o alla presenza di una dilatazione aneurismatica.
  3. sede condrale (laterosternale bilateralmente) superficiale a sede ben delimitata ed indicata come ben definita dal paziente. Se confermato da un accentuarsi con la digitopressione è il dolore tipico della parete toracica (muscoli o giunzioni osteo-condrali)
  4. Bruciore epigastrico o retrosternale che si irradia verso il collo. Nella maggioranza dei casi è ben conosciuto dal paziente ed è causato dal reflusso gastro-esofageo. Non è tuttavia dirimente e non esonera dalla necessità di controllo ECGrafico, soprattutto nei pazienti con storia di cardiopatia. Un aiuto potrebbe derivare dal far assumere al paziente un banale anti-acido (tipo maalox o simili), la regressione del dolore orienta maggiormente verso la diagnosi di reflusso acido. Occorre ricordare sempre la cosiddetta angina embricata, ossia il dolore cardiaco legato a stimolazione dolorosa dell’esofago da parte dell’acido.

La figura riproposta qui di fianco riassume quanto detto sopra e di seguito sul dolore toracico di origine cardiaca. Occorre notare l’età del paziente che, dopo il pasto e camminando al freddo con il carico di una valigia, viene colto da un dolore retrosternale esemplificato con la mano aperta posta sul petto.

Informazioni importanti possiamo trarle dalla individuazione dei fattori scatenanti o esacerbanti il dolore toracico. In particolare:

  1. il dolore toracico che esordisce dopo sforzo fisico, pasti abbondanti, freddo, assunzione di farmaci o in corso di episodi di tachicardia, è tipico dell’angina cardiaca. Generalmente, la cessazione del fattore scatenante (e quindi il riposo) porta alla risoluzione del dolore stesso
  2. se il dolore toracico, con le caratteristiche del dolore cardiaco, esordisce a riposo deve far sospettare l’infarto acuto del miocardio
  3. se il dolore è esacerbato dal movimento del busto o dagli atti respiratori e scompare rimanendo fermi o limitando le escursioni respiratorie, quindi con un respiro più superficiale, è più facile che sia di origine pleurica, comunque, della parete toracica
  4. il dolore che viene esacerbato dalla digitopressione, in genere sulla sede stessa del dolore, è più facilmente di origine osteo-condrale

Un’altra caratteristica importante del dolore è la sua durata. Semplificando possiamo dire che:

  1. un dolore della durata di pochi minuti (sino ad un massimo di 20) è indicativo di angina cardiaca
  2. un dolore di durata più lunga (20-30 minuti) è indicativo di infarto miocardico acuto
  3. un dolore periodico presente per più giorni la settimana e per più settimane è indicativo di dolore osteo-condrale o di reflusso gastro-esofageo
  4. un dolore improvviso che, crescendo, raggiunge rapidamente l’apice è tipico della dissecazione aortica

La risoluzione del dolore può darci, per via indiretta, ulteriori informazioni:

  1. la risoluzione con il riposo è tipica del dolore di origine cardiaca
  2. la risoluzione indotta da farmaci
    1. se vasodilatatori l’origine è cardiaca ma anche esofagea
    2. se antiacidi l’origine è esofagea
    3. se anti-dolorifici l’origine è della parete toracica o delle sierose

Flow chart sulla metodologia dell’approccio al dolore toracico retrosternale

Organigramma






















[FR1]Aneurisma= dilatazione sacciforme dell’arteria per sfiancamento o degenerazione della parete

[FR2]Aumentato reflusso di acido in esofago o prolungato suo ristagno, causa di sintomatologia dolorosa con o senza lesioni mucosali esofagee

[FR3]Nitroderivato= farmaco ad azione miorilassante sulla muscolatura liscia e quindi vasodilatante

[FR4]Nocicettive= recettori del dolore

[FR5]Tachicardia= aumento aspecifico della frequenza cardiaca

[FR6]Tachipnea= aumento aspecifico della frequenza respiratoria

[FR7]Giugulo= base del collo

[FR8]Angina= angor= dolore

[FR9]Ateromasia= formazione nella tunica interna della parete vasale di accumuli di colesterolo che possono rompersi verso il lume vasale

L'embolia polmonare

Definizione: è l’ostruzione improvvisa, parziale o totale, di uno o più rami dell’arteria polmonare da parte di un embolo (embolo= qualsiasi materiale non fluido che si trovi nel letto vascolare, in genere l’embolo classico è costituito dal trombo formatosi nelle vene degli arti inferiori, ma esiste anche l’embolo gassoso, quando è formato da grosse quantità d’aria, l’embolo grasso, quando è costituito da materiale lipidico, ad esempio nelle fratture di grosse ossa, embolo neoplastico, costituito da aggregati di cellule neoplastiche, l’embolo settico, costituito da materiale settico proveniente da raccolte ascessuali) che in genere proviene dalle vene profonde gli arti inferiori. È una condizione che può facilmente essere preveduta e per la quale occorre fare una profilassi, potenzialmente, tuttavia, rimane una forma mortale

Epidemiologia: i dati sulla sua incidenza sono molto scarsi, in particolare a causa della difficile diagnosi e del fatto che in molti casi si manifesta in maniera silente o con sintomi minimi ed aspecifici che ne rendono impossibile la diagnosi in vivo.

I dati che abbiamo ci dicono che in America vi sono 500.000 casi/anno dei quali 50.000 mortali. Sebbene la numerosità possa sembrare non elevatissima, riportata alla popolazione generale e confrontata con altre patologie, rimane il fatto che una mortalità del 10% sia una mortalità altissima.

Da quanto detto sopra, si evince che l’embolia polmonare non è una malattia di per se, ma la complicanza di altre malattie, in particolare della trombosi venosa profonda.

La trombosi venosa profonda è una condizione frequente non solo nell’anziano. È causata principalmente da tre condizioni come la stasi ematica, la presenza di lesioni della parete vascolare ed una ipercoagulabilità. La stasi ematica si realizza non solo nelle pazienti che hanno dei danni della struttura parietale delle vene degli arti inferiori (vedi ad esempio le varicosità venose dell’anziano) ma anche in tutti i casi in cui vi sia una immobilità prolungata degli arti inferiori con una qualsiasi difficoltà di scarico per compressione della cava inferiore. Nel soggetto giovane, è il caso degli allettamenti prolungati, della immobilizzazione degli arti inferiori in seguito a fratture ossee, di interventi chirurgici maggiori, delle gravidanze difficili o in età avanzata.

In tutti questi casi è indicata non solo la profilassi con eparina sotto cute, ma anche la ripresa, appena possibile della mobilizzazione del paziente o il posizionamento di calze elastiche o la ginnastica passiva a letto. Nulla è così efficace, soprattutto nel paziente anziano, quanto la ripresa della deambulazione; occorre ricordare che l’allettamento è una patologia di per se gravata da moltissime complicanze. In presenza di una trombofilia (ossia di una predisposizione geneticamente determinata allo sviluppo di trombosi per l’aumento della coagulabilità) è indicato non solo la profilassi in alcune condizioni, ma anche una terapia anticoagulante con antagonisti della vitamina K per lungo periodo.

Tabella: Fattori di rischio di trombosi venosa profonda/embolia polmonare

Ereditari

  • Deficit di anti-trombina III
  • Deficit di proteina C
  • Deficit di proteina S

Acquisiti

  • Anticoagulante lupico
  • Sindrome nefrosica
  • Emoglobinuria parossistica notturna
  • Neoplasie maligne
  • Policitemia rubra vera
  • Sepsi
  • Stasi vascolare: scompenso cardiaco, anasarca, immobilizzazione
  • Età avanzata
  • Obesità
  • Storia di pregresso tromboembolismo

Per semplificare: da qualche parte nel letto venoso periferico si crea una stasi ematica e si forma una trombosi. Quando una parte o tutto il trombo si stacca, segue il flusso ematico che lo porterà, se non si ferma prima, sino al cuore destro e, da qui, nel circolo arterioso polmonare (ricordare che il circolo che parte dal cuore destro verso il cuore è arterioso per la distinzione che tutto quello che parte dal cuore è arterioso e tutto quello che arriva al cuore è venoso, indipendentemente dal grado di ossigenazione del sangue). Qui i vasi sono così piccoli che è impossibile che il trombo riesca a passare per cui si ferma. Morale della favola, quanto più è grande l’embolo o quanto più sono numerosi, maggiore è il letto vascolare che viene bloccato e quindi escluso dalla ossigenazione, peggio sarà la condizione generale.

Le alterazioni che si instaurano, dopo l’evento embolico, sono una alterazione del rapporto ventilazione/perfusione, una iperventilazione con o senza broncocostrizione, alterazioni parenchimali del polmone. Non voglio tediarvi con tutta le descrizione fisiologica del rapporto ventilazione/perfusione (V/P). Vi basti sapere che il risultato finale dei gas (ossigeno e anidride carbonica) che sono presenti nel sangue arterioso, sono il risultato di una determinata quantità di sangue che nell’unità di tempo circola nel letto vascolare del polmone e la quantità di aria che circola negli alveoli polmonari. Se cambia uno di questi due parametri, si ottiene una modifica dei gas nel sangue. Nel caso specifico, le alterazioni che si ottengono sono che nelle zone irrorate dai vasi che rimangono bloccati dall’embolo, si ha un aumento del rapporto V/P per riduzione del denominatore. Che cosa significa? Normale aria poco sangue, alla fine sangue poco modificato rispetto al versante venoso, quindi poco ossigeno e molta anidride carbonica.

La presenza di una ipo-ossigenazione del sangue arterioso, ovviamente attiva i sensori che vigilano sulla quantità di ossigeno presente, che decidono per un aumento della attività respiratoria, quindi la iperventilazione o tachipnea (vedremo nella clinica che il paziente è dispnoico tachipnoico, ossia respira molto in fretta). Dato che l’anidride carbonica diffonde molto più facilmente dell’ossigeno, il quadro che si ottiene è quello di una ipossiemia, dato che comunque vi è una parte del circolo bloccato con ipocapnia, ossia con riduzione dei valori medi di anidride carbonica arteriosa. Sul versante dell’equilibrio tra acidi e basi che è fondamentale mantenere nel sangue (vedremo se è il caso di fare un apposito capitolo), il risultato finale è quello di una alcalosi respiratoria con ipossia (in soldoni pH elevato sopra i 7,4 con bassa CO2 meno di 40 e bassa O2). È per questo che, nel sospetto di una embolia polmonare è indispensabile fare la EmoGasAnalisiArteriosa (EGAA) e non fidarsi della sola saturazione periferica di O2.

La broncocostrizione che spesso si nota nel paziente (ma che in molti casi rischia di essere l’unico sintomo presente) si instaura molto spesso per effetto delle sostanze che si liberano dalle piastrine che si lisano nel polmone. Se voi pensate che spesso l’embolia polmonare accade in maniera silente in pazienti già cardiopatici o broncopneumopatici, capite come il sintomo broncospasmo può rivolgere l’attenzione verso il solo problema cardiologico o pneumologico, piuttosto che embolico fuorviando la diagnosi.

Per quando riguarda le alterazioni parenchimali del polmone, sono tardive e non sempre presenti. Si possono avere delle aree di atelettasia (in parole semplici, il polmone è come una grossa spugna piena d’aria, che rimane aperta per il fatto che gli alveoli sono costantemente pieni d’aria e il surfactante che vernicia la loro parete, ne mantiene la elasticità. Quando si ha una perdita di surfactante, in questo caso per il blocco della vascolarizzazione, in altri casi per la presenza di malattie genetiche che riducono la sua formazione o nei nati pretermine, in cui la sua produzione non è ancora completa, il polmone perde la sua elasticità, gli alveoli perdono l’aria coartandosi e trasformandosi in parenchima compatto.

Accanto alle alterazioni che riguardano il polmone, vi sono alcune alterazioni che coinvolgono il ventricolo destro. Sono più rare e spesso ininfluenti sul quadro generale. Come detto nelle lezioni sul sistema cardiocircolatorio, il cuore destro lavora soprattutto come pompa di volume, ossia sposta grandi quantità di sangue, e non come pompa di pressione, ossia non spinge contro pressioni elevate.

Nel caso della embolia polmonare, il circolo aumenta la sua pressione, quindi il cuore si trova nella condizione di dover fare una sforzo, in acuto, al quale non è abituato. In rari casi si può avere una insufficienza del ventricolo destro, evidenziabile con una epatomegalia dolente ed il turgore delle giugulari sino all’infarto del ventricolo destro. Sono situazioni rare per il fatto che nel circolo polmonare in difficoltà si aprono così tanti shunt artero-venosi che peggiorano il quadro dei gas arteriosi, ma proteggono il cuore destro.

Quadro clinico

Non esiste un quadro clinico specifico per l’embolia polmonare, per questo è così difficile diagnosticarla nel paziente vivo. L’inquadramento generale del paziente è il modo migliore per fare la diagnosi.

In genere ci troviamo di fronte ad un paziente che, rapidamente, sviluppa una dispnea con tachipnea, sudorazione fredda e cianosi, estrema agitazione ed angoscia che il paziente fa fatica ad esprimere, essendo impegnato a respirare, dolore toracico, tachicardia. Occorre notare che spesso nel paziente anziano o che abbia già una demenza, questo quadro, magari un pochino più sfumato, può essere confuso con l’agitazione psicomotoria e spesso il medico viene contattato per una sua sedazione.

Quando il paziente si presenta con un quadro del genere, occorre fare mente locale se ha fattori di rischio (non dimenticare che, anche nel giovane, il quadro può presentarsi dopo un lungo periodo di allettamento, appena riprende la mobilizzazione degli arti inferiori, quello che spesso succede alle donne post-parto).

Quadro strumentale

Come discusso sopra, la saturazione periferica di ossigeno ci fornisce un quadro indicativo ma molto aspecifico, per cui occorre preparare o effettuare una EGAA. Il quadro, anch’esso indicativo e non specifico, è di una alcalosi respiratoria con ipocapnia e ipossiemia.

L’ECG conferma la tachicardia che è possibile rilevare al polso. Solo in alcuni casi si può modificare rispetto ai giorni precedenti, presentando una onda S in D1, una onda q in D3 ed una onda T in D3, un blocco di branca destro ed una deviazione assiale destra

La radiografia del torace, anch’essa raramente diagnostica, può evidenziare aree di ipertrasparenza od innalzamento del diaframma omolaterale alla sede dell’embolia od ingrandimento del polo vascolare cardiaco.

L’angioTC rimane l’esame diagnostico per eccellenza, permettendo lo studio del letto vascolare polmonare.

La terapia consiste nel mantenimento delle funzioni generali e nella terapia trombolitica in caso di embolia massiva. È ovvio che il quadro clinico generale e la tipologia di terapie che verranno applicate, detteranno o meno la necessità o meno di trasferire il paziente in terapia intensiva. In caso di embolia polmonare non critica con buone condizioni generali del paziente, la terapia da farsi è di stabilizzare il quadro con l’eparina a basso peso molecolare sottocute o eparina sodica e.v. e di aspettare che il paziente si stabilizzi.

La terapia più importante, nell’embolia polmonare, è la sua prevenzione mediante tutti gli accorgimenti necessari nei pazienti a rischio.

In caso il paziente sia ad alto rischio di embolia ed abbia già presentato un evento embolica nel recente passato, è indicato mettere un filtro cavale, ossia una specie di ombrello forellato che viene posizionato nella vena cava per evitare che possano passare emboli di grosse dimensioni. Non è un intervento facile e vi sono molti rischi, ad esempio la migrazione del filtro che diventa esso stesso un embolo, per cui queste soluzioni vengono lasciate solo nei pazienti ad alto rischio.

Ricordo ancora che i pazienti che presentano una trombosi per difetto acquisito, necessitano di una terapia anticoagulante orale per molti anni.

Happy hours : Richiamo di farmacologia: gli antagonisti della vitamina K sono i dicumarolici. Voi sapete che la vitamina K è indispensabile affinché il fegato possa produrre i fattori sierici essenziali per la cascata di eventi che, alla fine, porta alla formazione del trombo. Se antagonizzate l’assorbimento della vitamina K, si riduce la formazione di questi componenti, con conseguente riduzione della capacità coagulativa. Il tutto viene misurato con un esame che controlla in quanto tempo il sangue coagula (PTT) o meglio con il suo indice standardizzato (INR). Tanto più farmaco noi diamo, tanto più tempo richiede il sangue per coagulare. Oltre alla scoagulazione indotta con i dicumarolici a fine terapeutico, ve ne è una iatrogena, complicanza di alcune condizioni patologiche, come nel caso delle insufficienze epatiche da cirrosi, nelle condizioni di iponutrizione (anoressia, alcoolismo) o malnutrizione come nell’intestino corto post resezioni chirurgiche o nelle malattie infiammatoria croniche intestinali.